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 1977  dicembre 18 Domenica calendario

I somari con la matita

L’undici agosto scorso Lotta continua aveva su quasi tutta la prima pagina un «comic» diviso in quattro strisce. («In queste settimane abbiamo fatto in modo che il dibattito sulla repressione avesse il massimo di amplificazione», avvertiva l’articolo di fondo). I personaggi sono reiterati. Mostriciattoli gibbosi, spelacchiati e cisposi. Il primo, il Maestro, dietro una sorta di cattedra; il secondo, l’Allievo, davanti a lui, capovolto, testa in giù e piedi sul soffitto. Una immagine unica, un emblema anzi, solo per comodo sdoppiato, che in effetti monologa e rassicura se stesso. A Montevideo, a Mosca, a Roma? Non importa. Chiaro deve essere che è il potere.
Il monologo. Prima striscia: «Un governo è democratico quando è sostenuto dal consenso del paese...». Seconda striscia: «Il consenso del paese aumenta col decrescere delle forme di dissenso...». Terza striscia. «Noi ci diamo da fare per eliminare il dissenso!». Quarta striscia: «Fisicamente?».
Questa, per me, non è l’opera di un disegnatore satirico. Non è nemmeno satira volta in lotta politica. Questa, sia consentito anche a me di usare il linguaggio del giornale dove il «comic» è apparso, è una cazzata. Anzi una Kazzata. Vogliamo contestare o proibire a chicchessia di gabellare kazzate per satira politica? Non è neppure da pensarlo. Io, ad esempio, voglio solo essere interamente libero di chiamare le cose col nome che mi pare, senza che questo esercizio di libertà, che solo la democrazia parlamentare garantisce, sia accusato di volontà repressiva o criminalizzante. Non si scaldi, dunque, il compagno Chiappori e mi lasci dire che la sua grafica satiro-politica soffre, più di quella di ogni altro suo qualificato collega, ma non diversamente, di una serie di mali che a me paiono mortali proprio per una grafica che si prefigga di essere satirica sul complesso e arduo terreno della lotta politica italiana.
Indico tre di questi mali. Primo: tutta la politica è ridotta, proprio come fanno i reazionari, a presenze di vertice, di potere. I vertici e il potere sono a loro volta ridotti ad alcuni uomini del Governo (il «culto della personalità» ha molte facce).
Dice Forattini (che, avverto subito, è il più immune dai mali che sto indicando): «Io me la prendo con quelli che stanno nell’area del potere. Non è colpa mia se adesso là c’è pure il Pci». Lasciamo stare la questione di dove si trovi il Pci.
Ma che storia è questa? Forattini pensa davvero che degni di satira debbano essere, d’ufficio, soltanto coloro che stanno nell’area del potere? E se, ammettendo ma non concedendo la deformazione antidemocratica per cui il potere è solo il governo, si rivelasse degno di satira qualcuno dell’opposizione o della minoranza, lo si dovrebbe, per dovere professionale, risparmiare? Pare di sì. Non mi risulta che sfreccino nel cielo della satira politica italiana strali (l’antologia dell’EspressoLa freccia avvelenata non ne reca traccia) indirizzati dalla parte che Forattini e i suoi colleghi considerano opposizione. Padronissimo, lo ripeto, Forattini di intisichire in questo schema le sue ricche doti di inventore e di grafico. Ma padrone anch’io di avvertirlo, no?
Di questa prigionia ideologica è costituito il secondo male mortale della grafica satirico-politica che va per la maggiore in Italia. Ridotto il potere al governo e ridotto il governo ai suoi vertici, che è appunto prova di primitivismo settario e di pigrizia intellettuale, il passo verso la riduzione della satira al dileggio fisico delle persone, non più personaggi e nemmeno emblemi di una generale realtà politico-psicologico-sociale, è inevitabile. Ecco dunque la noia degli Andreotti sempre più pipistrelli, dei Leone sempre più maialini, degli Amendola sempre più elefantoni, dei Berlinguer sempre più cucciolotti, e degli altri che di tanto in tanto capitano a tiro sempre più ibridati fra il bruco e il roditore. E, quando si resta più vicini alla sembianza umana, sempre più vecchi sdentati e cadenti con un disprezzo per la vecchiaia che non oso definire.
Insomma la traduzione in segni di un ribellismo da scolari somari che fanno sulle pareti del cesso la faccia del maestro con le corna come nel collodiano «Paese dei balocchi». O da dadaisti all’amatriciana che mettono ancora i baffi alla Gioconda. Di questo passo l’immagine diventa sempre più stereotipa e quel che prevale sono le parole, il fumetto, la propaganda. E ci risiamo. Deve essere libera la propaganda? Libera per me è poco. Deve essere liberissima. In Italia c’è anche la propaganda del «partito armato» e io ne difendo interamente la libertà. Scenderei in lotta se la vedessi repressa. Ma nessuno mi obbligherà a mentire fino al punto di ammettere che la propaganda è satira politica democratica.
Il terzo male mortale è la monotonia alla quale questi disegnatori si sono costretti precludendosi ciò che occorre per passare dall’infanzia all’età adulta della satira; l’analisi e la critica della società nella sua interezza, senza tabù. Lo so che anche la satira di Fortebraccio vive di un tabù, il tabù di «lor signori», ma mal comune non è sempre mezzo gaudio.
Di questo male soffrì sempre, a differenza della grande satira democratica francese e inglese, la grafica satirica italiana. Sia quella clericale che quella anticlericale fino al ’70. Sia quella reazionaria che quella socialista e radicale dopo il ’90. Perfino nella sua migliore, anzi eccellente, versione: quella di Galantara o Ratalanga sull’Asino di Podrecca (ma non è da dimenticare che Podrecca fu come anticlericale nella lista fascista del ’19 «il diciannovesimo!» con Marinetti e Mussolini).
Sono andato a riguardarmi un’annata – il 1902 – dell’Assiette au beurre che conservo gelosamente. Certo, c’erano Steinlen, Kupka, Van Dongen, Valloton, Villon, Caran d’Ache, Robida, Leonetto Cappiello, fra i collaboratori e non voglio maramaldeggiare. Il fatto è che mai o quasi mai il dileggio fisico delle persone è usato come arma precipua della satira. Quel che conta è arrivare attraverso emblemi significativi e significative caratterizzazioni ai mali e alle ipocrisie della società a tutti i livelli. I «baroni» del Policlinico non se la sarebbero certo scampata. Ma nemmeno gli «infermieri» che tolgono la corrente mentre è in corso un’operazione mortale.
Non è una satira da sberleffo, da pernacchia, da manganellata (prima o dopo vorrò scrivere qualcosa sul dadaismo del «santo manganello» e dello stile «autonomo» delle ghette e della bombetta del Duce!). Evidentemente l’estremismo non è soltanto la malattia infantile del comunismo. E dice bene Forattini: «La paura a volte fa scambiare un petardo per una bomba». Infatti: nessuno ha detto che la grafica satirico-politica italiana produce bombe. Produce appunto petardi. A volte peti. Ma vorrei invitare Forattini a meditare sul fatto che la paura può anche indurre a far passare la P38 per una scacciacani. Non sarà la grafica satirico-politica italiana ad aver troppa paura del ricatto ideologico dell’estremismo e nessuna fiducia nella libertà?