La Stampa, 22 agosto 2017
Gazpacho: quel fresco simbolo di movida per la generazione Erasmus
A dare fama internazionale al gazpacho, la zuppa fredda di ortaggi, simbolo della cucina spagnola non meno della paella valenciana, è stato nel 1988 «Donne sull’orlo di una crisi di nervi» di Pedro Almodóvar. Nel film ad un certo punto la Pepa, interpretata da una splendida Carmen Maura, ne recita gli ingredienti («pomodori, un po’ di cetriolo, peperoncino, cipolla, una puntina d’aglio, olio, sale, aceto, pane secco e acqua: il segreto è nelle dosi») omettendo però di ricordare d’averlo «corretto» con il sonnifero. Più di recente a mettere in musica la ricetta della zuppa, sarà la canzone «Gazpacho» brano nonché video e tormentone trash estivo del gruppo Ogra, nel 2011: ragazze ballano in abiti coloratissimi con cassette di peperoni e cetrioli.
Però come sempre in cucina le cose non sono così semplici come appaiono: lo ricordava in un articolo del 2000 lo scrittore gourmet Manuel Vázquez Montalbán (celebre per avere creato il personaggio del detective privato Pepe Carvalho: nelle sue avventure ci si imbatte sovente nel gazpacho). Raccontava infatti che oltre alla ricetta classica del cosiddetto «gazpacho andaluso» esistono mille varianti: «A Jaen – spiegava – al gazpacho aggiungono mele e uva, a Huelva uova sode e patate bollite, ad Antequera si chiama gazpacho “pimenton” perché usano i peperoni rossi invece di quelli verdi, a Malaga l’“aglio bianco” compete con il gazpacho e si fa con mandorle, uva, aglio, mollica di pane, olio. A Cadice ci sono anche gazpachi in versione calda». Insomma si potrebbe dire che esiste un gazpacho per ogni regione o città e forse per ogni famiglia spagnola e che ciascuna rivendica, come da noi per il pesto o per il ragù, la supremazia della propria versione.
Ma che origine ha il gazpacho? Certo a vedere la ricetta attuale si può pensare che questa rinfrescante prelibatezza estiva sia figlia della scoperta dell’America, perché d’Oltreoceano arrivano nei galeoni pieni dei tesori razziati dai conquistadores ai popoli andini anche i pomodori e i peperoni colonna portante del gazpacho. Ma c’è chi dice che in realtà, colori a parte, sia figlia di una zuppa che sarebbe stata portata in Spagna addirittura dai romani, ai tempi in cui costruivano le prime strade nella penisola iberica. Peraltro a citare il gazpacho è anche Cervantes, il massimo scrittore iberico. Nel «Don Chisciotte», il protagonista (che non deve andarne pazzo) afferma «preferisco riempirmi di gazpacho piuttosto che essere soggetto a piccinerie di un medico impertinente».
Il gazpacho può essere tanto consumato in un bicchiere come una bevanda, quanto in un piatto come antipasto. Di sicuro però prima di diventare di moda nasce come cibo contadino consumato in quella Spagna del Sud povera e rurale raccontata in uno splendido reportage fotografico negli Anni 50 dal futuro regista cinematografico Carlos Saura (le sue immagini che aiutano a capire la cultura del gazpacho, si possono vedere al museo Cerralbo di Madrid fino al 3 settembre).
Il nome «gazpacho» (che deriverebbe da un accadico «kasapu»: frantumare) ha avuto fortuna anche al di là del piatto: è stato assunto da un gruppo rock norvegese e si chiama così anche un famoso festival di flamenco che si tiene da 51 anni in Andalusia. Il successodel gazpacho in Italia e più in generale in Europa si può invece legare anche alla generazione Erasmus: sono i ragazzi che dal 1987 vanno a studiare a Madrid, Barcellona o Siviglia a portarsi a casa il ricordo e il gusto del gazpacho. Se ci fate caso Erasmus nasce nel 1987, il film di Almodóvar è del 1988: la Spagna è uscita da più di un decennio dal franchismo e anche la zuppa fredda diventa una sorta di ambasciatore della nuovo Paese democratico e della sua energia, capace di esportare con la «movida» anche la voglia di tirar tardi.
Proprio perché simbolo della nuova Spagna il gazpacho non poteva essere ignorato dal Copernico della gastronomia, Ferran Adriá: il rivoluzionario chef catalano del Bulli già nel 1989 lancia una ricetta del gazpacho con il «bogavante», ossia l’astice. E Joan Roca che da Adriá ha ereditato (al Celler de Can Roca di Girona) per alcuni anni la palma di migliore chef del mondo, proprio il mese scorso proponeva su «La Vanguardia» una nuova ricetta del gazpacho con le ciliegie: d’altronde Biscuter, fidato collaboratore di Pepe Carvalho ne gustava nel romanzo «L’uomo della mia vita» una versione alle fragole.