La Stampa, 22 agosto 2017
Addio a faccia di mostro l’ex poliziotto dei misteri
Come nelle trame dei thriller più sofisticati, “faccia da mostro” sarà seppellito sotto il peso dei segreti, tanti segreti, che lo hanno più volte esposto alle attenzioni delle Procure che si occupano dei più terribili “affari di Stato” camuffati da semplici vicende mafiose. Giovanni Aiello, questa la vera identità dell’oscuro personaggio ucciso – a quanto pare – da un infarto, se n’è andato mentre portava a secco “Il Bucaniere”, la barca con cui andava a pesca.
Il capanno
Aiello trascorreva la vita in un capanno della costa jonica, la spiaggia di Montauro in provincia di Catanzaro, anche se disponeva di una villetta a Calalunga, poco più avanti. Era un solitario, carattere chiuso, ancor più dopo le recenti disavventure giudiziarie, dalle quali – bisogna dire – era sempre uscito pulito. Innocente o soltanto immensamente fortunato, “graziato” da indagini superficiali? Forse non si saprà mai e la sua morte aggiunge nero al buio, anche dopo la decisione di predisporre l’autopsia che certificherà di sicuro un decesso per arresto cardiaco, causa di ogni tipo di morte.
L’ultima volta che i magistrati si sono occupati di lui è stata durante la recentissima inchiesta sul coinvolgimento della ‘ndrangheta calabrese in una specie di joint venture con la Cosa nostra siciliana, nel tentativo di mettere a segno, dal 1990 al 1994, un golpe strisciante diretto a riequilibrare il potere delle mafie e di alcuni settori deviati degli apparati statali, destrutturato dalla fine del comunismo che rendeva ormai inutili i ruoli di «barriera antisovietica» di formazioni clandestine o anche “legali” come poteva essere la Gladio.
Giovanni Aiello aveva un passato molto turbolento e, dunque, non c’era indagine torbida dove non emergesse il sospetto di un suo coinvolgimento. Ovviamente lui ha sempre negato e quasi sempre le archiviazioni decise dalle Procure gli hanno dato ragione. Anche quando è stato scovato dai cronisti (Repubblica 2013), “faccia da mostro” ha regalato poche parole e solo per rintuzzare i sospetti degli investigatori. Sulla sua condizione di “osservato speciale” molto ha contato il passato di ex poliziotto: squadra antirapina, mobile di Palermo Anni Settanta. C’è una prima pagina del quotidiano del pomeriggio, L’Ora, che lo ritrae capellone alla Serpico, ferito alla gamba (dai morsi di cani criminali come i loro padroni) ma sorridente per aver messo in galera una banda di rapinatori particolarmente violenti, tanto da essere accostati a «quelli di Arancia Meccanica». Quella (metà Settanta) fu una delle ultime operazione di Aiello. Poi lasciò Palermo e sparì nel nulla per intraprendere – sostiene chi lo ha indagato – un’attività sotterranea che qualcuno qualifica come tipica di un «killer di Stato».
La fucilata
Il suo volto, deturpato (dice Aiello) da una fucilata presa durante un conflitto a fuoco con gli uomini di Graziano Mesina, torna d’attualità grazie alle dichiarazioni di Luigi Ilardo, mafioso catanese e confidente dei carabinieri che non ha fatto in tempo a pentirsi perché assassinato prima che potesse entrare a far parte del programma di protezione per i collaboratori di giustizia. Ilardo fu ucciso a Catania due giorni prima che potesse cominciare la sua collaborazione. Ma alcune cose le aveva dette al col. Michele Riccio, del Ros.
Per esempio aveva parlato di un killer dei servizi che aveva eliminato alcuni mafiosi nel Catanese, nell’ambito del disegno di isolare il clan di Piddu Madonia, in favore del predominio di don Nitto Santapaola. E aggiunse, Ilardo, che – per questo – «lo cercavamo pure noi», evidentemente per farlo fuori, «quel poliziotto con la faccia da mostro». Ma passeranno anni prima che si riesca a dare un nome all’ex sbirro, anche se non sarebbe stato difficile farlo prima, visto che poliziotti, in servizio a Palermo con quella caratteristica non ce n’erano davvero tanti. Eppure bisognerà aspettare la Procura nazionale di Piero Grasso perché le indagini, affidate a Gianfranco Donadio, prendano consistenza.
Vengono così fuori una serie di testimonianze importanti che collocano Aiello sulla scena dei delitti di mafia più efferati: l’uccisione del piccolo Claudio Domino, l’omicidio del vicequestore Ninni Cassarà, l’attentato dell’Addaura contro Falcone, le stragi di capaci e via D’Amelio e l’uccisione dell’agente Nino Agostino e della moglie. Su questo episodio pesano il riconoscimento del padre della vittima e la testimonianza di un collega di Agostino che racconta come Nino avesse «paura di quello dell’antirapina». Testimonianze risultate insufficienti. Finisce così, con la sua morte, la storia di «faccia da mostro»? Di certo non sarà l’autopsia a fare luce, forse sarebbe meglio rileggere la montagna di carte su Aiello, anche le archiviazioni, forse, un po’ troppo frettolose.