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 2017  agosto 21 Lunedì calendario

Barbara Garlaschelli: «Mi vergogno delle mie mani, non del mio sesso»

Pomeriggio di luglio e di salsedine. E il barattolino di smalto rosso lasciato in bilico sul davanzale della finestra aperta. «Ho fatto l’ultimo bagno oggi», sospira Barbara «e già mi manca il mare». I capelli arricciati con vezzo, il sorriso guadagnato di chi ha visto il buio e si è infilato dentro, e quelle mani esili che danzano insieme al vento e alla pioggia in ogni angolo di giornata. Sono dita bellissime, sinuose, chiuse in se stesse come fanno le ragazze timide quando le inviti a ballare. Ma Barbara non le ama più. Non ci crede più. Le ha fotografate impietosa in un pomeriggio d’estate e le ha messe a nudo su facebook, la pubblica piazza... Le mani di una tetraplegica. Migliaia di like e condivisioni e quel post che rimbomba e lacera. «Suonavano il pianoforte le mie mani, afferravano borse e penne» e poi improvvisamente sono diventate la nota dolente, «lo stigma che getta senza compassione nella categoria delle tetraplegiche... le dita serrate... la mancanza di un’armonia che mi colpisce». 
Non fingerò di conoscerla Barbara non ho letto neppure un suo libro. Sono arrivata a lei attraverso le sue mani e adesso le vorrei stringere forte per presentarmi. 
«Il post più intimo della mia vita. Nonostante io abbia parlato di sesso nel mio ultimo libro (Non voglio morire vergine) non avevo mai messo a nudo me stessa come adesso. Ci ho pensato tanto. Sono una donna gradevole, ho gambe belle, toniche e muscolose nonostante io viva sulla sedia a rotelle, potevo fotografare quelle invece ho fotografato le mie mani che non riconosco più, che mi hanno sempre messa in imbarazzo. Che mi gridano in faccia la mia disabilità». 
Ma lei è depistante con quelle mani. 
«Lo so, le muovo in continuazione, lavoro con i polsi e compenso quello che non ho con le cose che ho. Sono riuscita a reinventarmi tutto. Il modo di truccarmi, di scrivere, di afferrare un libro». 
Cosa le è accaduto Barbara? 
«Un incidente banalissimo, avevo 15 anni ero al mare in Liguria. Prendo la rincorsa e mi tuffo. L’acqua è bassa, c’è un sasso, una cazzata e la quinta vertebra cervicale è lesa irreparabilmente». 
Difficile a 15 anni cominciare una vita in carrozzella
«All’inizio pareva che non potessi neppure stare seduta, è stata una sofferenza atroce. La vita rivoluzionata, il dolore». 
Chi l’ha aiutata? 
«Sono figlia unica di due genitori meravigliosi che mi sono stati vicini e complici in ogni attimo della vita. Mio padre non mi ha dato tregua... Ero in quarta superiore. Dissi alle mie compagne: non venite a trovarmi, organizzatevi e fate in modo che non perda l’anno e così è stato: le mie compagne mi hanno permesso di studiare a casa, ho sostenuto gli esami e a settembre sono potuta rientrare nella mia classe». 
E poi c’è stata la scrittura 
«La scrittura è parte di me è il mio modo di essere nel mondo. Certo sarebbe stato più complicato se avessi voluto fare la ginnasta, mi è andata bene così». 
Un ciclo di racconti. Poi “Sirena (mezzo pesante in movimento)”. E adesso “Non voglio morire vergine”... una bella confessione se posso permettermi. 
«Un titolo forte e vero. Volevo parlare della sessualità e della disabilità ma anche del corpo col quale spesso non si ha un buon rapporto. Ricevo centinaia di messaggi di persone che si raccontano e confessano di non stare bene con se stesse. Non voglio morire vergine è stato il mio mantra per anni. Mi sentivo congelata. Sono partita dal mio vissuto ma mi sono resa conto che ciascuno ha la sua disabilità visibile o non visibile, timidezze e ossessioni con cui deve convivere». 
E con chi l’ha persa la verginità? 
«Con un amico meraviglioso che mi amava da che era ragazzino. Sapeva del mio problema e si era offerto da subito di aiutarmi. Ci ho pensato molto, mi rendevo conto che sarebbe stata una cosa bella mettermi in gioco ma anche dolorosa e difficile. E sapevo di non aver incontrato fino al allora un uomo abbastanza coraggioso. E così telefono a questo amico dolcissimo e gli dico senza troppo tergiversare “ma eri serio quando dicevi di volermi aiutare?”. Lui mi dice “ma certo” e sì precipita da me. Abitava in Piemonte io stavo a Milano. Ha fatto svariati chilometri per raggiungermi ma ci ho messo un bel po’ prima di smollargliela. Quando è successo è stato molto bello. E andata avanti per un po’ di tempo ci siamo voluti molto bene». 
E poi ci sono state altre storie. 
«Altri uomini, alcuni gradevoli altri sgradevoli, altri ridicoli e pavidi o semplicemente stupidi. Un giorno un tizio per dirti la stupidità mi ha detto: “Ma se facciamo sesso sul letto le gambe dove le metti?”. “Sul tavolo gli ho risposto io, e dove se no?”. La cosa che mi diverte molto è che sugli uomini ho sempre esercitato una certa attrazione ma non tutti hanno i mezzi tecnici e mentali per affrontare la disablità. Una volta un tizio che mi ha fatto molto male mi ha detto “vedi cara a me manca una Barbara senza ruote”. Avrei dovuto rispondere che a me mancava un uomo col cervello, ma non sono stata pronta e mi sono limitata a star zitta e soffrire dentro di me». 
E poi è arrivato Giampaolo, il grande amore?
«Conosciuti e innamorati nel giro di tre ore. Ci sono persone che ancora si sorprendono a vederci insieme e si meravigliano della sua bellezza, come se una donna tetraplegica non potesse stare con uno bello». 
Facebook le piace, è una delle poche persone che ancora ne parlano bene. 
«Facebook mi coccola molto, mi scalda. Il post sulla mano per esempio è stato incredibile. Mille like in un momento e per uno scrittore significa aver toccato il cuore della gente. “Mi è piaciuta la tua mano”, mi ha scritto qualcuno, “e allora te l’ho presa, l’ho tenuta stretta”. Qualcun altro le ha definite “mani che hanno saputo accogliere stringere accarezzare mani fortunate, a loro modo”». 
Si sente libera adesso Barbara? 
«Sono una donna incredibilmente libera, il che è un paradosso nella mia condizione perché la gravità della mia lesione mi rende costretta su una sedia a rotelle e dipendente dagli altri. Ma come tutte le situazioni portate all’estremo avevo due scelte o soccombere o tirare fuori il meglio di me. Io ho scelto la seconda strada». 
Oggi ha fatto l’ultimo bagno della vacanza. Pensavo lo odiasse il mare. 
«Lo amo moltissimo. Faccio lunghissime nuotate a dorso da sola e non voglio nessuno accanto. Mi sento libera e leggera in acqua... mi sento ancora una sirena».