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 2017  agosto 22 Martedì calendario

Intervista a Bibiana Steinhaus: «Ero una ragazzina curiosa, decido ascoltando l’intuito»

Sono sei chilometri scarsi. Bibiana Steinhaus, 38 anni, sa quando arriva una curva e quando il fondo si fa accidentato, perché corre molto spesso lungo il tracciato che contorna il Maschsee di Hannover. Anche qui si tiene in forma l’arbitra che in questa stagione sarà la prima donna a dirigere in Bundesliga. La Welt am Sonntag ha accompagnato Steinhaus nel suo giro attorno al Maschsee.
SIGNORA Steinhaus, ha già ringraziato Ilkay Gündogan?
(ride) «No, non di persona».
Ma conosce sicuramente il tweet del giocatore della nazionale dopo alcuni commenti diffamatori nei suoi confronti: “Hanno tutti paura che una donna non sappia fare il suo mestiere altrettanto bene degli uomini con i quali se la prendono ogni settimana”.
«L’ho trovato un gesto molto sportivo e molto leale da parte sua. Per tutti noi conta la prestazione: solo quella, e nient’altro. Lui lo ha ricordato. I pregiudizi sono semplicemente fuori luogo».
Aveva già desiderato, prima, di accedere alla Bundesliga?
«È irrilevante. L’opportunità è adesso, e intendo sfruttarla».
Si sente sotto pressione?
«Provo soprattutto entusiasmo, ma avverto anche una certa tensione – e delle aspettative. In particolare, aspettative che io rivolgo a me stessa. Molte persone con le quali in passato ho collaborato intensamente mi hanno espresso fiducia. Mi piacerebbe ricambiarle».
Si sente riconoscente?
«Sì. Perché puoi lavorare a fondo ed evolvere, ma se nessuno ti dà un’opportunità di metterti alla prova al livello successivo, è difficile».
Fa l’arbitra da quando ha 16 anni, ha dovuto imparare a imporsi e a farsi valere. Ci riesce sempre?
«Mia madre mi ha sempre attestato uno spiccato senso della giustizia. Non solo mai stata insolente, ma nemmeno timida. E sono sempre stata curiosa. Credo di aver tratto impulso dalla curiosità fin da bambina. Il motto della mia vita potrebbe essere: Ma sì, proviamo».
Per la gioia dei suoi genitori?
«Quando eravamo in un parco giochi, mi dicevano: “Arrampicati pure sull’albero, se vuoi provare come ci si sente cadendo” (ride). Mi hanno sempre sostenuto con forza in tutte le cose che ho fatto. È così anche oggi. Ho avuto tutte le libertà di mettermi alla prova. Guardando le cose in retrospettiva, mi ha fatto sicuramente molto bene. E non si sono mai preoccupati che esagerassi».
Aha.
«Ho cominciato molto presto a divertirmi facendo sport e facendolo con gioia. È sempre stato importante, perché mi sono accorta presto anche di quanta forza potevo trarre. E quando poi mi sono proposta di raggiungere buone prestazioni come arbitra, i fine settimana in discoteca si sono fatti sempre più rari. Non si trattava di una rinuncia, ma di stabilire delle priorità».
Lei è agente di polizia e di recente si è diplomata come formatrice. Cosa consiglierebbe la formatrice all’arbitra?
«Sii paziente con te stessa! Credo che direbbe così» ( ride).
Quanto le è facile prendere decisioni?
«Nell’addestramento in polizia ci vengono trasmesse delle linee-guida applicabili in numerose situazioni: mantenere la calma, farsi un quadro generale, creare delle riserve. Osservare, respirare, irradiare sicurezza, mettere ordine, interrogare l’intuito e, dopo aver fatto tutto questo, prendere una decisione».
Come controlla lo stress?
«Lo stress è una sensazione soggettiva. Per qualcuno un calendario fitto di scadenze può significare stress, per qualcun altro potenza ed energia. Io mi chiedo sempre cosa mi fa bene e in che modo mi sento bene. È questione di equilibrio tra tensione e distensione. Se mi accorgo che certe cose mi stressano, dico “no”, chiaro e tondo. Non posso dare ragione a tutti. Mi sono resa conto di quanto sia importante stabilire delle priorità».
Qual è il suo rapporto con il calcio?
«L’allenamento quotidiano è importante, è chiaro, poiché il gioco esige una forma fisica perfetta. Il calcio è diventato più veloce, l’arbitro è sempre in movimento. E allo sforzo fisico si aggiunge il fatto che dobbiamo prendere delle decisioni. Era fuori? C’è stato un contatto? Non dobbiamo essere in forma solo sul piano fisico, ma anche mentalmente. Inoltre, ci prepariamo come gruppo di ufficiali di gara. Chi si assume quali compiti? Come comunichiamo? E naturalmente abbiamo direttamente a che fare con le squadre».
L’allenamento richiede molta autodisciplina. Si concede ogni tanto qualche trasgressione?
«Trasgredire suona negativo. Ogni tanto mi premio. Per quanto riguarda il senso di responsabilità, è importante trattare con riguardo il proprio corpo, ascoltarlo. Il corpo ti dice già quello che gli fa bene e quello che non gli fa bene».
Quanto sono importanti i primi dieci minuti di una partita?
«Sono i più importanti. Tutti i giocatori guardano dov’è il limite. Cosa è consentito, cosa non lo è? Fin dove posso spingermi? È normale. Per l’arbitro si tratta di tracciare una linea, di tirare un nastro divisorio, per così dire, al quale tutti i giocatori devono attenersi. Non dobbiamo soltanto prescrivere e vietare, ma dobbiamo anche dirigere il gioco».
Quanto è importante una buona comunicazione sul posto?
«Importantissima. Il tono fa la musica. Un rapporto rispettoso è quello che mi auguro. Per me non è un problema, se un giocatore mi chiede conto delle mie decisioni. È naturale che possa succedere. Ma, per favore, con rispetto!» A proposito: come ufficiale di polizia, dovrebbe inorridire sentendo quanto poco rispetto venga generalmente manifestato al giorno d’oggi, da tante parti.
«Quando considero il numero drammaticamente crescente di aggressioni a ufficiali di polizia, rimango scioccata. La situazione non è più sostenibile. Non si può andare avanti così. Dobbiamo chiederci tutti come vogliamo impostare i nostri rapporti reciproci, dentro e fuori del campo di calcio!» 
(Traduzione di Carlo Sandrelli)