la Repubblica, 22 agosto 2017
«Porcellane tossiche», una direttiva europea minaccia la tradizione dei vasi di Meissen
MEISSEN La storia della porcellana in Occidente comincia come un giallo mozzafiato, in un piccolo paesino della Sassonia. E dopo trecento anni, infinite guerre, sanguinosi cambi di regime, dopo il nazismo e il comunismo, è minacciata da una direttiva europea che sa più di curvatura delle banane che di tutela del consumatore. La secolare tradizione delle porcellane di Meissen – della porcellana in generale – rischia di essere compromessa da una legge in discussione a Bruxelles che non soltanto rasenta la paranoia, ma rischia di alimentare sentimenti anti europei in un Land come la Sassonia, già pesantemente infestata dall’estrema destra islamofoba ed euroscettica.
Passeggiando attraverso il museo della porcellana di Meissen si ammira un pezzo di storia sociale tedesca. Alcune miniature settecentesche sono “paparazzate” dell’epoca tardobarocca. In una vetrina spicca una volpe seduta a un pianoforte che guarda una cantante che gli sorride beata. Un pettegolezzo gustosissimo che per anni non poté essere neanche esposto, alla corte di Augusto il Forte. La statuina rappresentava il soprano celeberrimo Faustina Bordoni con il Kapellmeister, il suo amante. Che di cognome si chiamava Fuchs, “volpe”, appunto. Poi c’è la famosa cipolla di Meissen, ci spiega una guida, che adorna sin dalle origini la stragrande maggioranza delle tazze, dei piatti o dei vasi di questa leggendaria fabbrica. Nasce da un equivoco: doveva essere un melograno, ma copiando il frutto sconosciuto dalle porcellane dell’epoca Ming, gli artigiani sassoni lo trasformarono nella più nota e diffusa verdura.
Nel museo c’è anche un dalmata, commissionato da una donna che di recente è venuta qui a farsi immortalare il suo amato cane in ‘oro bianco’. Può mandarmi tutte le foto che vuole, pare le abbia spiegato l’artigiano incaricato: lo devo vedere di persona. E lei è venuta nella fabbrica col cane e ha aspettato pazientemente che l’artigiano ne prendesse le misure, lo studiasse nei dettagli, lo riproducesse in porcellana. Nelle cantine di Meissen sono nascosti più di settecentomila stampi di putti, alzate, cineserie, vasi, persino busti di Lenin e bizzarrie di migliaia di committenti.
La porcellana, da queste parti, è una roba seria. E quando lo Spiegel, la scorsa settimana, ha dato notizia della direttiva europea, gli uffici della Porzellamanufaktur sono stati presi di mira da miriadi di tedeschi preoccupati per i piatti in cui mangiano da generazioni, per le tazze da cui bevevano i loro nonni e trisavoli o per le zuppiere: «Ma quanto è pericoloso?», chiedono. Dall’ufficio stampa ci spiegano di essere «preoccupati» per la notizia della direttiva in preparazione alla Commissione europea. Il succo è che «alcune sostanze contenute nella metà dei colori usati per adornare le porcellane, se sottoposti a determinati processi molto complessi, possono sprigionare sostanze tossiche, secondo Bruxelles».
Un comunicato dell’associazione tedesca dell’industria ceramica e di quella dei colori industriali, VKI e VMI, è esplicito: i limiti che verrebbero stabiliti per il piombo e il cadmio sono «molto al di sotto dei limiti consentiti per gli alimenti. La carne può contenere fino a 100 ?g/kg e il pesce fino a 300 ?g/kg – dieci o trenta volte quanto i limiti che verrebbero stabiliti per le stoviglie che li contengono». Per le associazioni del settore le nuove regole sono fuori dalla realtà e «cancellerebbero il 50% dei colori in uso adesso». In particolare per Meissen, spiega la portavoce, anche nella peggiore delle ipotesi, la direttiva «non significherebbe una minaccia per la sopravvivenza dell’azienda, ma certo la cancellazione di un pezzo di cultura secolare». Che ha un origine avvincente, raccontata in un libro stupendo, “The White Road”, di Edmund de Waal. Una storia nata come un giallo ma che rischia di finire con un delitto.
Alla fine del Seicento, la porcellana è l’amante più costosa di Augusto il Forte: non si sazia mai delle sue donne e dei suoi pezzi di pregio fatti arrivare a Dresda dalla Cina e dal Giappone. È la sua maîtresse preferita, spende montagne di soldi per la sua Porzellankrankheit, per il suo “male da porcellana”, come lo definisce. Un matematico raffinato, Ehrenfried Walther von Tschirnhaus, allievo di Leibniz e Spinoza, fiuta l’affare. Dresda è affacciata sui Monti metalliferi, dove si nascondono le preziose miniere boeme, lui comincia a fare esperimenti con l’argilla, il caolino.
Un giorno da Berlino arriva la notizia di un giovane prodigio diciannovenne, un alchimista che avrebbe trovato la pietra filosofale, Johann Friedrich Böttger. Quando scappa da Berlino, Augusto il Forte lo nasconde a corte e lo trasferisce a Meissen, in un laboratorio segreto nel castello della Albrechtsburg. In un luogo infernale, una cantina dalle finestre minuscole dove invece dell’oro, Böttger comincia a cercare la porcellana, aiutato da Tschirnhaus, soffocato dai fumi di carbone dei forni e dai metalli tossici. Ai primi del Settecento, Tschirnhaus annota che sono riusciti a produrre un materiale “translucido e bianco come un narciso”. Il primo vaso di porcellana nasce il 9 ottobre del 1708. Due giorni dopo, Tschirnhaus muore e il suo taccuino sparisce misteriosamente. Ma Böttger annuncia poco dopo al re e al mondo intero che è nata la porcellana europea, la Böttgerporzellan. Il resto è storia. Si spera anche futura.