la Repubblica, 22 agosto 2017
Attentato di Barcellona. Qualcuno lo ha aiutato nella fuga. «La caccia non è ancora finita»
BARCELLONA Sotto i tralci di un vigneto di Subirats, nell’alto Penedés, lungo la statale 243 che 50 chilometri più a sud, attraverso le montagne d’Ordal, porta a Barcellona, Younes Abouyaaqoub, lascia dietro di sé l’ultima domanda di questa inchiesta su “i dodici” di Ripoll. Quella per cui la Polizia Catalana parla di una cellula definitivamente disarticolata ma di un’«operazione non ancora conclusa». Qualcuno lo aiutato nella sua disperata fuga? E se è così, chi?
Gli agenti dei Mossos d’Esquadra che lo falciano mentre gridando “Allah Akbar” fa mostra di un cinturone esplosivo, che esplosivo non è, fanno infatti fuoco su un uomo che indossa un giubbotto e una maglietta. Che si è liberato della maglia bianca a righe orizzontali blu con cui le telecamere del mercato della Boquería, giovedì 17 agosto, lo fissano mentre fugge dalla Rambla su cui ha appena seminato la morte. Qualcuno gli ha procurato quegli indumenti? O ci ha pensato da solo? Di più. La donna di Subirats che alle 15.30 riconosce Younes collegando il suo volto alle foto diffuse poche ore prima in rete dalla Polizia catalana, spiega agli agenti cui dà l’allarme che ha appena visto fuggire tra i vigneti un ragazzo che si aggirava tra le case del paese come in cerca di una porta, di un indirizzo. Aveva dunque alla fine trovato un luogo in cui rifugiarsi?
Il buco di 93 ore tra l’inizio e la fine di questa caccia all’uomo è quello che, in queste ore e in quelle a venire, hanno cominciato a riempire gli uomini dei Mossos d’Esquadra. Se ne conosce ora la fine. Se ne conosce l’inizio. Il pomeriggio di giovedì 17.
LA BOQUERIA
Sono passate da poco le 17. Younes scende dall’abitacolo del van bianco che ha appena fatto strage sulla Rambla. Ha percorso poco più di seicento metri uccidendo 13 innocenti. Nelle sue intenzioni, quella corsa assassina dovrebbe prolungarsi oltre. Fino ad arrivare al mare. Continuando ad abbattere esseri umani come birilli. Ma non ha fatto i conti con l’airbag. Esplode dopo l’ennesimo impatto frontale contro gli esseri umani che il furgone falcia a zig-zag. E la sua apertura interrompe automaticamente i contatti del motore con la batteria, staccando l’alimentazione. Younes, all’altezza del mosaico di Miró, si confonde tra la folla che fugge e, a passo lento, dirige a destra, verso l’ingresso del mercato della Boquería. Le telecamere di sorveglianza fisse lo inquadrano mentre, la maglietta bianca a strisce orizzontali blu, gli occhiali da sole, attraversa i banchi deserti, per guadagnare l’uscita posteriore.
WALDEN 7
Cammina quasi un’ora. Verso lo stadio Camp Nou, la città universitaria. Alle 18.20, è nel parcheggio dell’Universitat Politècnica de Catalunya. Ha deciso cosa fare. Aspetta che un giovane uomo parcheggi la sua Ford Focus. È il cooperante Pau Pérez, la quattordicesima vittima della strage (alla fine saranno 15 in tutto). Lo aggredisce, uccidendolo, con il coltello che ha con sé. Lo trascina sul sedile posteriore. Si mette al volante dirigendosi a velocità sostenuta lungo l’Avenida Diagonal, l’arteria che porta alla superstrada costiera verso Tarragona. Verso Cambrils. Dove deve riunirsi con i 5 uomini che restano della cellula. Quelli con cui, la sera prima, mercoledì 16, ha concordato un piano B per la strage dopo l’esplosione della casa di Alcanar. Il laboratorio santa Barbara che si è portato via tre dei “dodici” di Ripoll. A cominciare dal loro ring leader. L’imam Essati. Ma Barcellona è cinturata dall’operazione “Jaula”, il piano di emergenza con cui la Polizia ha chiuso ogni pertugio che porti alla città o consenta di uscirne. Forza un posto di blocco, da cui vengono esplosi colpi di arma da fuoco. Percorre ancora tre chilometri e abbandona la Ford e il corpo del suo proprietario non lontano dal Walden 7, immaginifico edificio rosso ocra dell’architettura sperimentale degli anni ’70 nel quartiere Sant Just Desvern. Sono le 19 di giovedì 17 agosto.
VERSO NORD
Sant Just Desvern e Subirats distano 37 chilometri. Sono l’inizio e la fine della corsa di Younes. E – come dice a Repubblica una fonte investigativa – «sono anche una testimonianza postuma di quella che, ragionevolmente, è stata la traiettoria della sua fuga». Questo quartiere meridionale di Barcellona e i vigneti del Penedés sono infatti lungo uno stesso asse attraversato da un fascio di vie a grande scorrimento e da una statale, la B 24, che taglia all’interno attraverso le montagne di Ordal. Cinquanta minuti di auto. Volendo, o dovendo, a piedi, sette ore di cammino. Compatibili con una fuga durata appunto quattro giorni. Tenendosi lontano da mezzi di trasporto pubblico e strade frequentate.
«Se Abouyaaqoub è rimasto da solo nella sua fuga – prosegue la fonte investigativa – è probabile che abbia scelto di dirigersi verso Subirats coprendo quella distanza in più giorni. Studiando tempi e modi di spostamento. Aveva del resto un vantaggio. Sapeva dai media che la caccia si concentrava verso il confine della Francia». Cento chilometri in direzione opposta. Al confine tra la Catalogna e i Pirenei francesi. Non lontano da Ripoll, dove la cellula si era formata e dove lui, Younes, aveva vissuto la gran parte della sua giovane vita.
UNA STRAGE DA 1.200 EURO
«Una cosa è certa – dice una fonte di Intelligence – che fosse da solo o che, ad un certo punto, abbia trovato qualcuno disposto ad aiutarlo, la fuga di Abouyaaqoub è la dimostrazione che i dodici di Ripoll non godevano di alcun supporto logistico». Come dimostra del resto la quantità di denaro che avevano messo insieme per la strage che doveva colpire al cuore Barcellona e l’Europa. Mille e duecento euro. Il costo di 100 bombole di gas butano al mercato nero.