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 2017  agosto 22 Martedì calendario

I cinesi vogliono strappare la Jeep a Fca

MILANO «Non abbiamo piani al momento», anzi sì, «ci interessa Jeep e siamo in contatto con Fiat Chrysler Automobiles», anzi no, «siamo seriamente intenzionati ad acquistare anche l’intera Fca, ma per ora è solo un auspicio». Tutto e il contrario di tutto, da Great Wall Motors, prima in pochi giorni e alla fine – ieri – in poche ore. L’unico punto fermo, nella marea di dichiarazioni made in China che ha spinto di nuovo a livelli record le quotazioni del gruppo italoamericano, è quello che mette a metà mattina la stessa Fca. Precisa «di non essere stata approcciata riguardo al brand Jeep o ad altre questioni relative al suo business». E non è un dettaglio secondario, la classica smentita di facciata. Perché la girandola che fa volare il titolo di quasi il 7% a Piazza Affari e sopra il 5% in apertura a Wall Street, una settimana esatta dopo le prime voci su un interesse generalizzato dei costruttori cinesi, la fa partire una mail inviata dal quartier generale di Great Wall al sito specializzato Automotive News (lo stesso che la vigilia di Ferragosto aveva rilanciato i primi rumors).
Il mittente non è un manager qualsiasi: è Wang Feng Ying, assicura Automotive, ovvero la presidente della casa di Baoding, un centinaio di chilometri a sud di Pechino. Non è banale neppure il contenuto: se una settimana fa Great Wall aveva smentito (come Geely, Dongfeng, Gac) l’esistenza di piani per Fiat Chrysler, ora la mail presidenziale conferma l’interesse, parla esplicitamente di Jeep, racconta di contatti con Fca per incontrarne i vertici e avviare le trattative.
Da qui in poi, mentre a Milano la Borsa apre e il titolo comincia a ritoccare ogni massimo (11,44 euro la chiusura, in rialzo del 6,92%), nello spazio di un paio d’ore i portavoce di Great Wall ridimensionano più di una volta. Confermano l’interesse per Fca, non solo per Jeep, ma smentiscono i contatti (l’aveva però già fatto Fiat Chrysler). Dicono di avere «intenzioni serie», ma precisano che al momento l’acquisto (eventuale) è soltanto «un auspicio». E loro stessi ammettono quel che anche a Shanghai gli analisti ripetono dal primo giorno: ok, nessun costruttore cinese è abbastanza grande da potersi permettere un’offerta (amichevole oppure no) a Fca, e tuttavia «noi siamo fiduciosi di poter raccogliere i fondi per finanziare un’acquisizione».
Nessuno ne dubita. Come nessuno dubita che l’interesse ci sia: Great Wall costruisce Suv, con Jeep il salto di qualità sarebbe da leadership globale. La questione, e quel che suona strano nell’intera storia delle «ombre cinesi» su Fiat Chrysler, è che da un lato non si capisce per quale ragione Sergio Marchionne e John Elkann dovrebbero cedere il gioiello della corona (e infatti non ne hanno l’intenzione: questo significa, anche, la precisazione che «Fca è pienamente impegnata nel perseguire il suo piano 2014-2018, di cui ha raggiunto ogni obiettivo alla data odierna e al cui completamento mancano solo sei trimestri»). Dall’altro lato, ci sarebbero comunque «ragioni superiori».
La Jeep è un simbolo americano. Più americana che italiana è la stessa Fiat Chrysler (e la massima parte del portafoglio Exor, la holding di controllo): negli States realizza oltre la metà dei suoi 111 miliardi di fatturato, dagli States ottiene oltre cinque dei suoi sei miliardi di utile operativo (2016). Non è credibile che Elkann e Marchionne intendano mettere a rischio questa macchina. Meno credibile ancora che Donald Trump, il presidente di America First, lasci eventualmente fare. Non accadrà. Tanto meno in questa fase di aperta guerra economico-commerciale con il capitalcomunismo di Xi Jinping.
Questo, visto da Pechino, potrebbe essere un capitolo «parallelo» di quella guerra? Forse. Ma se le Borse ci scommettono, è perché intravvedono la possibilità che il movimentismo cinese rilanci la possibilità di una fusione Gm-Fca. In alternativa, di fronte a un’offerta concreta da Pechino, Washington potrebbe comunque far scattare la tagliola del Cfius, il Comitato che può bloccare gli investimenti esteri negli Usa. Così come Marchionne potrebbe accelerare il probabile spin-off di Jeep. Libererebbe un valore enorme se è vero che, secondo Morgan Stanley, il brand da solo vale 23 miliardi. Tutta Fca, oggi, ne capitalizza poco più di 16.
Raffaella Polato

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Quell’interesse per il marchio, l’offerta intermittente di Pechino Ma Torino: priorità alle alleanze
L’ affaire si tinge di giallo: Great Wall, classificata solo settima industria automobilistica cinese, specializzata in suv, la scorsa settimana aveva dichiarato, con tono perentorio, di non avere qualsiasi tipo di interesse per Fiat Chrysler, lo riportava il quotidiano finanziario Jingji Guancha Bao. Dopo pochi giorni, la smentita, con l’annuncio, al contrario, che era disponibile ad acquisire da Fca il marchio Jeep. Dopo il comunicato emesso dal gruppo italo-americano in cui si ribadisce, con fermezza, che nessun contatto è avvenuto tra le due società, Great Wall, conferma, a una agenzia di stampa francese, di voler fare un’offerta per rilevare tutto il gruppo.
Le mosse dell’industria di Pechino sembrano azioni di disturbo per ostacolare, eventualmente, altri concorrenti, un modo per certi versi inusuale di gestire qualsiasi rapporto mirato alla negoziazione.
Ma quali sono le caratteristiche del gruppo? Great Wall non ha grande peso sul mercato, nel 2016 ha venduto poco più di 1 milione di auto, non considerate premium. Sente il fiato sul collo degli altri produttori che ormai sono usciti commercialmente dai confini nazionali, mentre il suo brand non riesce a impiantarsi negli Stati Uniti, nazione determinante, per poter divenire, come spera, il più importante costruttore di suv e crossover nel mondo.
Great Wall è ferma a una produzione non innovativa, si è limitata a riprodurre modelli di altri marchi prestigiosi, dei cloni che hanno la somiglianza, più o meno esplicita, con veicoli occidentali. Chiarito che nessuna proposta concreta è stata formalizzata, queste voci disturbano i vertici di Fca che hanno già dimostrato come, nella riservatezza, senza indiscrezioni, si concludano i veri accordi.
Sergio Marchionne e la sua prima linea sono impegnati a portare a termine il piano 2018 che vede il raggiungimento degli obiettivi nei tempi previsti, lavora a future collaborazioni, simili a quella annunciata con Bmw per produrre una nuova piattaforma adatta allo sviluppo di un modello a guida autonoma. Inoltre, unito alla sua squadra, sta portando avanti lo studio del nuovo programma che verrà presentato nel primo semestre 2018, dove sarà dettagliata la struttura economica, industriale della Fiat Chrysler futura.
Bianca Carretto