il Fatto Quotidiano, 21 agosto 2017
Dalla strada a Ultimo Tango: poi la legge perdona l’osceno
Dalla “camporella” a Ultimo Tango a Parigi: l’offesa al senso del pudore, gli “atti osceni in luogo pubblico”. Una storia italiana costellata di episodi e aneddoti. Con un punto di svolta: la depenalizzazione avvenuta nel 2016. E tutto cambia. Come per la coppia di Bologna – marocchino di 21 anni lui, moldava di 30 lei – che il 19 marzo 2007 stava facendo sesso all’aperto. Qualcuno li scopre. Vengono identificati e denunciati, poi processati. Il tribunale li ritiene colpevoli di aver violato l’articolo 527 del codice penale e il 28 giugno 2010 li condanna a tre mesi “per atti sessuali posti in essere lungo la pubblica via in area illuminata”.
L’8 maggio 2014 la Corte d’appello conferma, ma il 20 luglio 2016 la Suprema corte chiude il caso: “La sentenza va annullata senza rinvio a seguito della sopravvenuta depenalizzazione del reato”. Merito, spiegano i giudici, dell’articolo 2 del decreto legislativo del 15 gennaio 2016, n° 8, “che ha previsto la configurazione come illecito amministrativo, punito con la sanzione pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro”.
Così è andata anche al 71enne che nudo ha “compiuto un rapporto sessuale al di fuori della propria autovettura parcheggiata lungo un strada”. Prima s’era beccato tre mesi, ridotti a due in appello, ma l’anziano voleva uscirne pulito e ha fatto ricorso sostenendo che il luogo in cui faceva sesso non era pubblico, ma appartato e “con modalità da non potere essere visto”. Il 25 maggio 2016 i giudici di Roma concordano: il posto era sì “in luogo pubblico o quanto meno esposto al pubblico (i margini di una strada di campagna visibile dal soprastante cavalcavia autostradale), ma non in luogo abitualmente frequentato da minori”.
Condanna annullata. Stessa decisione per un 47enne romano colto sulla sua auto vicino ad Atri (Teramo) mentre una prostituta straniera gli praticava una fellatio di notte. In Cassazione si è difeso affermando che i giudici che lo avevano condannato non avevano mai “provato il grado di percettibilità degli atti compiuti nell’autovettura e ancora prima il fatto che gli imputati si trovavano sulla pubblica via”. Se non potevano essere visti, che problema c’era? I magistrati non hanno neanche risposto: il 3 maggio scorso hanno detto che l’atto osceno non è più reato, altra condanna annullata.
Prima del 2016 difendersi sostenendo che “nessuno poteva vedermi” non bastava. Il 21 giugno 2013 la Cassazione ha confermato la condanna a un 34enne di Catania che ha tentato di discolparsi sostenendo che “le condizioni di tempo e di luogo non consentivano agevole visibilità”, che la sua auto aveva i vetri appannati ed era in una “zona isolata in stato di completo abbandono e degrado e in più poco illuminata”. Ricorso inammissibile.
Fino al 2016 l’articolo 527 del codice penale – emanato nel 1930 – sanciva che “chiunque, in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico, compie atti osceni è punito con la reclusione da tre mesi a due anni”. Bastava compiere un atto che poteva “offendere” la morale sessuale in un luogo accessibile a tutti senza limiti, o aperto al pubblico (a determinate condizioni) o esposto al pubblico (potenzialmente visibile a moltissime persone) per essere denunciati. La pena aumentava di un terzo se il fatto veniva commesso “all’interno o nelle immediate vicinanze di luoghi abitualmente frequentati da minori e se da ciò deriva il pericolo che essi vi assistano”. Questa condizione è rimasta e fa sì che si passi dalla semplice multa e alla reclusione: pena prevista da quattro mesi a quattro anni e mezzo. La depenalizzazione non ha riguardato soltanto l’articolo 527, ma anche il 528 sulle pubblicazioni e sugli spettacoli osceni, che puniva con pene dai tre mesi ai tre anni “chiunque allo scopo di farne commercio o distribuzione ovvero di esporli pubblicamente, fabbrica, introduce in Italia, acquista, detiene, esporta, ovvero mette in circolazione scritti, disegni, immagini od oggetti osceni di qualsiasi specie”.
Passo indietro allora. Il 29 gennaio 1976, dopo quattro anni di processi, la Cassazione respingeva il ricorso di Bernardo Bertolucci e del produttore Alberto Grimaldi contro la condanna per Ultimo tango a Parigi come pubblicazione oscena: due mesi per i due uomini e per i protagonisti, Marlon Brando e Maria Schneider. Il giorno dopo il tribunale di Milano condannava a due mesi il produttore Grimaldi per Salò e le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini: “Un’assoluzione di Salò porterebbe di fatto alla depenalizzazione dell’articolo 528. È un grosso rischio”, ammoniva il pm Roccantonio D’Amelio.
Il verdetto venne ribaltato un anno dopo: la pellicola poteva tornare nei cinema, ma con dei tagli. Pasolini e le sue opere avevano subito altri processi per quel reato, come Teorema e I racconti di Canterbury, ma anche il suo primo romanzo, Ragazzi di vita. Non fu l’unico. Altri scrittori furono processati per oscenità, come Milena Milani, condannata in primo grado a sei mesi il 23 marzo 1966 per La ragazza di nome Giulio, in cui erano descritti rapporti sessuali e omosessuali, “un condensato di sozzure che fanno ribrezzo”, disse il pm nella requisitoria. Nel 1980 il procuratore dell’Aquila Massimo Severo Bartolomei fece sequestrare Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli, ma l’autore fu assolto dal tribunale di Mondovì il 16 marzo 1981. Il 13 marzo 1990 fu assolto anche Aldo Busi, accusato – di fronte al tribunale di Trento – di pubblicazioni oscene per Sodomie in corpo 11: “Peccato che di questo libro non ce n’è più in giro una copia: e proibirò di ristamparlo perché ormai solo gli imbecilli, dopo il glamour del processo, vorranno leggerlo”.