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 2017  agosto 20 Domenica calendario

Leni Riefenstahl, la regista che stregò Hitler

Non si spegne la leggenda di Leni Riefenstahl, la musa di Hitler, La bella maledetta secondo il titolo del film che la rese celebre. A 14 anni dalla morte (a 101 anni, era gagliarda la maledetta) e 81 dal film (Olympia) che la consegnò all’immortalità, Leni fa ancora notizia. 
Per le edizioni Lindau è uscito Leni Riefenstahl. La regista di Hitler, opera dello storico francese Jerome Bimbenet. Ma chi fu realmente la berlinese doc Leni che il padre avrebbe voluto capitana d’industria e che Hitler innalzò a ninfa egeria del Reich dandole un decennio di gloria e 60 anni di vergogna? Per Steven Spielberg è stata una delle più grandi registe di tutti i tempi, per Eva Braun (che per anni mal tollerò la sua presenza accanto al Fuhrer) una turpe puttana. Per Joseph Goebbels, un decennio di bocconi amari (Goebbels l’avrebbe sbattuta in fortezza, ma non poteva urtare il capo supremo). Per Walt Disney che la ospitò a Hollywood nel 1938 una bella e brava signora (Walt poi giurò che non sapeva chi fosse). 
Il libro di Bimbenet cerca di far luce su almeno tre interrogativi. 1) Leni fu amante di Hitler? La risposta è no (tra i due ci fu un forte feeling, che però non si tramutò mai in passione). 2) Leni fu convinta nazista? La risposta è sì. Nazista della prima ora. Dopo aver letto Mein kampf chiese subito udienza all’allora cancelliere per esternargli la sua totale ammirazione. 3)Il comportamento di Leni durante la guerra fu paragonabile in qualche modo a quello dei criminali processati a Norimberga? La risposta è “ni”. Se è vero che dei 15 anni successivi al conflitto Leni ne passò buona parte a combattere (vittoriosamente) nei tribunali è pur vero che qualche vergognosa responsabilità è emersa. 
Regista preferita del regime, non rifiutò certi ignobili vantaggi che il regime le offriva, come quello di usare maestranze che poi sarebbero state inviate nei lager in un viaggio senza ritorno. Certo se i suoi abili avvocati ebbero spesso buon gioco è perché poterono portare in giudizio documenti e soprattutto film che dimostravano come la Riefensthal fosse stata una nazista convinta, certo, ma non una propagandista ottusa. 
Per spregevoli che fossero le sue intenzioni, rimase una cineasta che seguiva la sua ispirazione e non la linea del partito. Anche e soprattutto nelle opere che più tardi l’avrebbero segnata a fuoco col marchio d’infamia: Il trionfo della volontà e Olympia. Il trionfo doveva essere la glorificazione del congresso del partito nazista, ma alcune sequenze fecero attorcigliare le budella a Goebbels e al suo entourage. Perché compariva trionfante Ernst Rohm, il capo delle camicie brune accoppato nella Notte dei Lunghi Coltelli. 
Altro torcimento di budella Olympia dove chi trionfava non era Hitler (visto in campo lungo) ma il nero americano Jesse Owens. Provvidenziali veramente quei grovigli di budella. Assicurarono a Leni l’impunità e una tranquilla vecchiaia. Fino alla morte, tra le braccia di un marito di 8 lustri più giovane di lei.