la Repubblica, 20 agosto 2017
Nell’estate più calda la mela diventa un frutto proibito
CLES (TRENTO). Verrà anche quest’anno, il “tempo delle mele”. Ma ci vorrà tanta pazienza. Le mele nuove, almeno quelle che i contadini stanno staccando dagli alberi della Val di Non e del Trentino (sono le Gala, le prime a maturare) arriveranno sulle nostre tavole non prima della fine di novembre. «No, non siamo impazziti», assicura Michele Odorizzi, presidente del Consorzio Melinda. «Purtroppo è successo un disastro. Ad aprile è arrivata la gelata, ad agosto le grandinate. E così in tutto il Trentino raccoglieremo il 75% di mele in meno. Qui in Val di Non il calo sarà dell’80%. Con questo crollo, nostro primo impegno è far sì che gli italiani non restino senza mele. Per questo, già dopo la gelata di aprile e la previsione di un calo del 60%, abbiamo deciso di rallentare le vendite delle mele 2016 per potere avere scorte fino a un mese prima di Natale. Sappiamo bene che già adesso tanti cercano i frutti nuovi, freschi e croccanti. Ma mandandoli subito nei supermercati e dai fruttivendoli non riusciremmo ad arrivare alla prossima stagione». Nella bellissima valle i filari di meli sono anche le “siepi” che accompagnano tutte le strade. «Ecco, guardi questo frutteto. Accanto alla strada ci sono più frutti, forse perché l’asfalto ha alzato un poco il termometro quando è arrivato il gelo. Dietro però c’è il disastro». I meli sembrano ciliegi depredati dagli storni. «Dove c’erano mille mele ora ce ne sono duecento. Tanti alberi sono proprio vuoti. E tanti frutti hanno la ruggine e sarà difficile venderli. Metteremo sul mercato anche parte di quelle macchiate, che di solito finivano all’industria per diventare succhi o altro. Saranno buone e non bellissime. Ma siamo davvero in emergenza». Melinda unisce 16 cooperative con 4.000 soci. Fatturato di 280 milioni con la vendita – negli anni normali – di 420.000 tonnellate. «Per fortuna – dice Michele Odorizzi – abbiamo ottimi mezzi di conservazione (magazzini ad atmosfera modificata e grotte sotto la montagna, che abbiamo solo noi in tutto il mondo) e le mele dell’anno scorso saranno buone ancora per molti mesi. Secondo i nostri conti, con la produzione 2016 e quella nuova dovremmo arrivare al luglio 2018. L’Italia così resterebbe senza mele per il prossimo mese d’agosto, non di più. Almeno speriamo». L’Italia non è messa bene (meno 23% rispetto al 2016, con una produzione 2017 di 1.756.776 tonnellate) ma altri Paesi europei stanno peggio. Germania meno 46%, Austria meno 50% (per il secondo anno consecutivo), Slovenia raccolto azzerato, Belgio meno 68%, Polonia meno 29%... In totale in Europa si raccoglieranno 9,3 milioni di tonnellate contro i 12 milioni dell’anno scorso. Secondo le leggi della domanda e dell’offerta, facile prevedere un netto rialzo dei prezzi. «Certamente ci sarà un boom iniziale ma poi si dovrà usare prudenza. Se alzi troppo i prezzi, irriti il consumatore, che ti può abbandonare», dice Alessandro Dalpiazz, direttore di Assomela, l’associazione che riunisce 13 consorzi (i più importanti sono Melinda, Vi.p della Val Venosta, Vog Marlene e Trentina) con il 75% della produzione nazionale. «Il 10 agosto – racconta – noi produttori europei ci siamo riuniti in Spagna, già preoccupanti ancor prima delle grandinate. Un grande esperto di mercato, il tedesco Helwig Schwartali, ci ha fatto la seguente raccomandazione: meno mele vuol prezzi più alti, ma non tirate troppo la corda. Chi pensa che i prezzi continueranno a salire magari a marzo si troverà con i magazzini pieni e sarà costretto a svendere. E soprattutto non giocate sulla qualità. Noi siamo pienamente d’accordo». La crisi nera arriva dopo tre anni di alta produzione. «I prezzi, però, hanno ballato fra i 25 ed i 40 centesimi. Con 38-40 guadagni qualcosa, con 25 ci rimetti. Insomma, l’alta produzione non ha portato alti profitti. Con l’emergenza di oggi le aziende – in media hanno un ettaro e mezzo di meleto – sono comunque abbastanza garantite. Abbiamo buoni sistemi assicurativi, che sono pagati per il 65% dallo Stato con fondi Ue. A rimetterci sono i dipendenti stagionali e fissi, che nel Trentino sono 1.500. Già con le prime gelate era stato previsto un taglio di 500 addetti. Sono soprattutto donne che selezionano le mele nelle cooperative. Per loro stiamo studiando una specie di cassa integrazione. Per quanto riguarda il mercato, anche come Assomela abbiamo deciso di privilegiare casa nostra. È vero che negli anni buoni metà dei 2 milioni di tonnellate finiscono all’estero ma gli italiani restano i clienti più importanti». In Val di Non sacchetti di “mele nuove” sono in vendita in qualche negozio e su furgoni arrivati da fuori. «Non sono assolutamente mele del consorzio», dice il presidente Michele Odorizzi. Hanno i segni lasciati dalla grandine e sono colpite da ruggine. L’anno scorso mele come queste venivano vendute all’industria per 7/8 centesimi al chilo. Oggi costano 1 euro e 45 cent.