la Repubblica, 20 agosto 2017
Quei custodi del Pci tra sicurezza, segreti e vite senza orario
Mario Farini detto Giancarlo arrivava sotto la villa di Occhetto a Capalbio alle 7 di mattina. Bisognava prepararsi. Un’ora dopo, il segretario della svolta si affacciava alla finestra e gli chiedeva: «Cosa c’è da leggere sui giornali?». Farini è morto l’altro ieri e con lui se ne va un altro pezzo della vigilanza che fu del Pci, poi dei Ds infine del Pd, in un anno che ha visto la scomparsa anche di Guido Quaranta e qualche giorno fa di Manlio Mentuccia. Tutti uomini sotto i 70 anni. Il mitico servizio d’ordine di Botteghe oscure rappresentava molto più di un gruppo di guardie del corpo. Erano persone di assoluta fiducia, quadri politici di un partito super organizzato, confidenti, consiglieri. «Un acuto collaboratore», ha scritto Achille Occhetto ricordando il suo autista-amico Giancarlo. Tra pensione e decessi si perde, con i suoi segreti, una parte della memoria della sinistra. Loro sapevano tutto e parlavano pochissimo, anzi per niente. Avevano lavorato con Ugo Pecchioli negli anni di piombo, quando il Pci aveva una struttura di sicurezza parallela: proiettili costruiti in casa, uomini fidati in tutte le pieghe dello Stato, vigilanza giorno e notte nelle sezioni a rischio e documenti pronti per l’espatrio se succedeva qualcosa. Nel servizio d’ordine del Partito comunista c’è un prima e un dopo, segnato dal terrorismo. Prima il vero ruolo di questi funzionari era stabilito a tavolino con i dirigenti. Una divisione dei compiti che si ispirava al partito-Stato: voi preparate la rivoluzione, noi pensiamo al resto. Perciò gli angeli custodi andavano a parlare con i professori dei figli, si occupavano della perdita d’acqua a casa mentre i leader studiavano l’assalto al Palazzo d’Inverno. Quando il terrorismo interno travolse le vite di tutti, furono notti in bianco, pericoli dietro ogni angolo, giornate senza orari. Mimmo Di Cinti, per vent’anni ombra di Massimo D’Alema, adesso fa il nonno a Santa Severa, una località di mare vicino Roma. «Non mi sono goduto i figli, recupero con i nipoti». Con la stessa espressione insondabile degli anni del potere dalemiano, aspetta in piedi ordini dai ragazzi: lo zucchero filato o i popcorn. «Sarebbe bene che qualche leader scegliesse la pensione. Come ho fatto io», dice. Dei vecchi, al Pd, è rimasto Mario Giachini, oggi capo della vigilanza del partito. Anche lui è una miniera di ricordi. È stato, insieme a Farini, l’autista storico di Occhetto. «Siamo la memoria storica della sinistra. Se qualcuno vuole aprire il libro sa dove trovarci. Altrimenti un libro chiuso non parla». È stato un anno buio per questo pezzo della militanza. Anche Quaranta aveva lavorato con Pecchioli. Mentuccia invece fu portato dentro il Pci da Pajetta, poi collaborò con D’Alema. Da qualche anno aveva scelto di stare al centralino. Giravano tutta Italia, migliaia di chilometri l’anno. Non gli sfuggiva un volto o un nome dei dirigenti locali in ogni dove. Sono stati testimoni di mille episodi chiave della storia della sinistra. Dai più grandi ai più piccoli. Si dice che solo uno di loro abbia visto D’Alema seduto su un vero trono normanno nella casa di Crisafulli ad Enna, ricca di tesori storici. Ma forse c’è anche una foto, ben nascosta negli archivi di Roberto Koch, il fotografo amico dell’ex premier. Allora, al tempo del potere, avrebbe avuto un discreto valore. Giorgio Amendola diceva: «La vigilanza è un’arte». E sacrificio: i “compagni” guardie del corpo lavoravano sabato e domenica, spesso gratis, non perdevano mai di vista il “capo”, stavano ore in piedi. Custodivano anche segreti, venivano incaricati di missioni delicatissime, nel tempo libero si esercitavano al poligono. Quello di Tor di Quinto e in anni più recenti in una struttura di Nepi. Discutevano di strategie e di questioni personali con i leader. Lo storico responsabile della sicurezza Vincenzo Marini, braccio destro di Pecchioli, ancora sente i colleghi. «Questa storia morirà con noi», dice. Parla della vigilanza o della sinistra?