La Stampa, 19 agosto 2017
I mille amori della mia vita
La Rambla è una ma sono tante: Las Ramblas, Les Rambles, in catalano. È una ma ha molti nomi: nella parte alta, appena sotto Plaça de Catalunya, si chiama Rambla de Canaletes, come la fontana.
Appena sotto, dopo il carrer de la Canuda, si chiama Rambla dels Estudis. Lì il furgone bianco in corsa ha iniziato a investire le persone. All’altezza del carrer de la Canuda, hanno scritto subito i giornali. Mi sono ricordata di Aloma, di quando molti anni prima, mancava poco alla Guerra Civile, si ritrova in mezzo a una manifestazione: cade, spinta dalla folla, sente le grida delle persone e il rumore degli spari, si rifugia dentro un portone assieme ad altri. Aloma è la protagonista di un romanzo, uno dei romanzi di Mercè Rodoreda che permette di scoprire Barcellona anche attraverso il tempo. Le immagino come lei, le persone che il 16 agosto, alle cinque di sera, erano sulle Ramblas. A passeggiare, a camminare verso casa, a lavorare. Commessi, camerieri, bariste, turisti, viaggiatori, addetti alle pulizie, edicolanti, artisti di strada. Catalani, spagnoli di altre città, latinoamericani, arabi, pachistani, italiani. Li immagino cadere spinti dalla folla, immagino le grida, li immagino a soccorrersi a vicenda. Come i miei amici Anna e Jaume, che erano andati a vedere una mostra al Palau de la Virreina e sono rimasti chiusi lì per ore, con i morti davanti all’ingresso, e hanno passato quelle ore a tradurre agli stranieri le informazioni che arrivavano e le istruzioni delle forze dell’ordine, a calmarsi a vicenda.
La Rambla inizia appena sotto plaça Catalunya, dove la Teresa dello Specchio rotto cammina piano, nervosa.
Più in basso Natàlia, la Colometa della Piazza del Diamante, sulla Rambla de les Flors incontra, dopo molti anni, Pere, il suo primo fidanzato che aveva lasciato per sposare un altro, e lui la guarda «come se stesse sprofondando fra la gente, fra i fiori, fra le botteghe», perché è rimasto solo al mondo.
I banchi dei fiori e le edicole, le statue viventi e i musicisti.
Al mercato della Boqueria Manuel Vázquez Montalbán porta Pepe Carvalho, che ama camminare fra le vie strette che lo circondano, nel quartiere che oggi si chiama Raval e allora si chiamava Barrio Chino, quello che Angustias, la zia di Andrea in Nada, di Carmen Laforet, odia perché dice che lì ci sono «donne perdute, ladri, e il brillio del demonio». Rambla pa’qui Rambla pa’lla, cantava Manu Chao, negli anni in cui anche io ci abitavo e camminavo in su e in giù. Strada e piazza, la Rambla, impossibile da percorrere di fretta, con molti nomi e incroci, passioni e vite. All’inizio è facile, come capitava ad Aloma, percorrerla in un senso convinti che sia nell’altro. Da una parte il Raval, dall’altra il Gòtic: i mercati, le chiese, le piazze di una città antica in continuo cambiamento, che lo stesso Carvalho, alla fine, diceva di faticare a riconoscere. In cui la catalanità si confronta ogni giorno con l’apertura al mondo, in cui vivono persone di tutto il mondo. «Città aperta al mondo, coraggiosa e solidale», ha twittato la sindaca Ada Colau. Città che, nonostante l’amore e la conoscenza, non so raccontare, quando è passato poco tempo dalle cinque di sera del 16 agosto, se non con i libri degli altri.
Cecília della Via delle Camelie vorrebbe passeggiare alle tre del mattino fino all’orologio del Liceu. Un sogno, il Gran Teatre del Liceu, per le protagoniste dei romanzi di Rodoreda, quasi davanti al mosaico di Miró, dove è finita la corsa assurda del furgone bianco. Più giù la Rambla dels Caputxins e quella di Santa Mònica, prima del monumento a Colombo, prima del mare.