Corriere della Sera, 19 agosto 2017
Nel cervello di chi non dorme. Meno concentrati e più famelici, gli effetti della veglia prolungata
Cosa succede nel cervello di chi non dorme? Gli scienziati se lo stanno chiedendo da anni e la prima volta che se ne è discusso è stato proprio in Italia, a Roma nel corso dell’ «International Medical Congress», era il 1894. A parlarne fu un medico russo, Maria Mikhailovna Manaseina, che aveva fatto certi esperimenti (un po’ crudeli a dire il vero) con cui privava gli animali del sonno per diversi giorni e ne studiava il comportamento.
Può darsi che quella relazione l’abbiano ascoltata anche Lamberto Daddi e Giulio Tarozzi, due professori di Roma e chissà che non si siano appassionati all’argomento. Sta di fatto che due anni dopo furono proprio loro a descrivere per primi i danni al cervello indotti dalla privazione del sonno. Nel riportare quelle lesioni – degenerazione della parte anteriore del cervello – Daddi e Tarozzi parlano di «autointossicazione» della corteccia pre-frontale. E nell’uomo? Ricercatori di Filadelfia, solo qualche anno dopo hanno descritto in ogni dettaglio quello che succedeva a tre volontari (uno era un professore della loro stessa Università) tenuti svegli per 50 o addirittura per 90 ore.
Effetti sulla memoria A parte la debolezza muscolare, tutti perdevano la capacità di concentrarsi, due di loro non ricordavano nulla di quello che era successo anche solo poco prima, uno aveva allucinazioni. E alla fine dell’esperimento tutti e tre erano aumentati di peso. Perché? Difficile stabilirlo, a quel tempo non c’era nulla che consentisse di indagare il cervello in modo approfondito e così gli esperimenti di Patrick e Gilbert – i ricercatori di Filadelfia – non ebbero grande seguito. Oggi, con metodiche estremamente sofisticate di risonanza magnetica siamo capaci di «leggere» quello che succede davvero nelle regioni del cervello che governano il nostro stato di coscienza e le nostre emozioni. «Così riusciremo finalmente a capire che cosa succede nel cervello di chi non dorme» si sono detti molti ricercatori in giro per il mondo.
Nature Reviews Neuroscience di questi giorni ha messo insieme i risultati di tutti questi studi che a dire il vero si sono concentrati più sulla privazione acuta del sonno che non su quello che capita a chi dorme male per giorni, quando non per mesi di fila. Le prime cose che si perdono con la privazione del sonno – per adesso parliamo di non dormire per 24-48 ore al massimo – sono la capacità di concentrarsi e la memoria recente; e questo in parte è ereditario, tant’è vero che qualcuno sopporta benissimo la mancanza di sonno e altri no.
Ed è sostenuto da alterazioni del cosiddetto network fronto-parietale da cui dipendono le manifestazioni della nostra personalità, la capacità di prendere decisioni e soprattutto di moderarci nei rapporti sociali (per avere un’idea, se non fosse per la corteccia pre-frontale saremmo tutti chiusi, sospettosi, irascibili e violenti come sono gli animali qualche volta). Un’altra area del cervello che si attiva con la privazione del sonno è l’amigdala – in greco significa mandorla – una piccola regione subito sopra il tronco cerebrale che governa paura ed emozioni.
Un eccesso di attivazione dell’amigdala porta a manifestazioni d’ansia e incapacità di controllare le emozioni; qualcuno diventa irascibile, altri perdono d’improvviso interesse a quello che succede intorno. La privazione di sonno coinvolge anche talamo e ipotalamo – si trovano uno ai margini del terzo ventricolo, l’altro nella zona centrale interna dei due emisferi cerebrali – governano fra l’altro le percezioni sensoriali, e dall’ipotalamo dipende anche il tempo che servirà per tornare a un’attività normale dopo che chi ha partecipato agli esperimenti avrà riposato.
Il senso dell’appetito E se non si dorme cambia il nostro rapporto col cibo e si aumenta di peso, sempre per via dell’attivazione della corteccia pre-frontale sostenuta dagli ormoni dell’appetito. Così dopo un po’ di notti insonni chi partecipava a questi esperimenti invece di scegliere quello che di solito gradiva, si orientava verso cibi ad alto contenuto calorico. Capire i meccanismi cerebrali che predispongono all’obesità da privazione di sonno si è rivelato molto più complesso del previsto ma i ricercatori vogliono vederci chiaro perché si sono accorti che le aree del cervello coinvolte in questo fenomeno sono le stesse che si attivano in chi eccede con l’alcol o fa uso di droghe.
È una delle tante ragioni per cui Nature ha dedicato tanto spazio a questo argomento; per non dire del rapporto tra sonno e molte malattie neurologiche e psichiatriche: Alzheimer per esempio, ma anche schizofrenia, attacchi di panico, nevrosi, paranoia. Le manifestazioni di queste malattie dipendono in gran parte dai geni, un po’ anche dall’ambiente ma tutte portano a dormire poco. Quanto di quello che vediamo in questi pazienti dipende dalla malattia? E quanto dalla mancanza di sonno? Sono pochi i medici – scrive Nature – che danno importanza a queste questioni nell’affrontare i disordini neurologici e psichiatrici e c’è poca ricerca volta a capire i rapporti fra privazione di sonno e manifestazioni di queste malattie. È un peccato soprattutto se consideriamo che per questi problemi – ancora oggi – i farmaci davvero efficaci sono pochissimi; d’altra parte la salute mentale è ormai un’emergenza medica, delle società più evolute certo, ma da qualche anno è così anche per i paesi più poveri.