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 2017  agosto 19 Sabato calendario

Breve ritratto di Steve Bannon, il «Cavaliere nero» che ha portato Trump a conquistare gli elettori e lo Studio ovale

NEW YORK L’eminenza grigia dell’amministrazione Trump esce di scena e torna nell’ombra che gli è più consueta. Steve Bannon è l’unico uomo di governo della presente amministrazione che sia riuscito a restare in sella per sette mesi (12, se si conta il momento dell’ingresso nella campagna elettorale), senza mai passare sotto i riflettori e lo scrutinio diretto delle telecamere.
INAFFERRABILE
Chiacchierato, accusato delle più oscure trame strategiche che avrebbe ordito alle spalle e dietro l’orecchio del presidente, era riuscito finora a sopravvivere ad ogni sbandata dell’esecutivo, e a molti dei passaggi più insidiosi nei quali ha pure giocato una parte fondamentale. Dal disastroso lancio del bando all’immigrazione dai Paesi musulmani, alle defezioni e i siluramenti di tanti collaboratori. La segretezza e l’invisibilità gli hanno appiccicato addosso accostamenti suggestivi: Bannon è stato definito il «cavaliere nero», il «Rasputin» della Casa Bianca, e il «Darth Vader» (Lord Fener nella versione italiana di Star Wars) della scena politica washingtoniana. Come tutti questi personaggi a metà tra la realtà e l’immaginario, è inafferrabile. Ha un passato da militare, e ha servito nella marina tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli ’80, abbastanza da aver sperimentato quella che lui ha definito «la completa débacle» dell’amministrazione Carter di fronte alla crisi degli ostaggi di Tehran. Ma è anche stato un amministratore di società americane in Asia, poi un banchiere nei ranghi della Goldman Sachs, e uno specialista del settore delle comunicazioni. Vanta allo stesso tempo diciotto produzioni cinematografiche tra cui The Indian Runner di Sean Penn, e la meno gloriosa direzione scientifica del progetto Biosphere II, un esperimento di sopravvivenza di futuri eternauti’ nel deserto dell’Arizona naufragato nel 1989 tra imbrogli e raggiri ai danni dei finanziatori.

NO GLOBAL

Di sicuro è il visionario che lo scorso agosto ha visto in una squadra elettorale quasi allo sbando la potenzialità di una corsa vincente in direzione della Casa Bianca, e che ha individuato nel carisma di Trump una forza propulsiva irresistibile. Quale fosse il suo disegno politico personale è meno chiaro. Alla redazione del sito ultraconservatore Breitbart, dove si trovava prima di saltare sul carro elettorale, era il campione di un rinnovato nazionalismo americano contro la tendenza dominante del globalismo. In privato aveva espresso tendenze più estreme, una sorta di pessimismo profondo riguardo alle istituzioni democratiche, e un desiderio nichilista di vederle inceppate e sconfitte, per liberare infine le forze vittoriose del mercato capitalista. Trump ha sicuramente aderito a parte di questa visione, come abbiamo visto con l’annuncio del programma dell’America First, e ultimamente con la difesa dei suprematisti bianchi. Non è stato infatti il presidente ad allontanarlo dalla Casa Bianca ma il nuovo capo del gabinetto generale Kelly, preoccupato da una evidente rottura delle righe da parte del consigliere con le recenti uscite su Corea e Cina. Bannon torna ora a Breitbart e il sito ha annunciato con un titolo il passaggio: WAR, guerra, è il suo proclama, e poi: «Attenti al ritorno di Steve il barbaro!».