Dieci anni di Repubblica, 18 dicembre 1977
Chi sa ridere è democratico
Diceva Don Abbondio che il coraggio, se uno non ce l’ha, non se lo può dare. Forse sbagliava. Ma sembra innegabile che del senso umoristico, per chi ne sia sprovveduto, è difficilissimo «appropriarsi» (per usare un termine alla moda: peccato che, fra le tante «appropriazioni» che oggi si rivendicano, manchi questa).
Gli italiani vantano (si fa per dire) un tasso di «humour» molto modesto. Sempre pronti a ridere del vicino, si infuriano se il vicino si permette, a sua volta, di prenderli in giro. Persone, categorie, partiti, enti, associazioni, tutti insomma, hanno una disponibilità stupefacente ad offendersi. Non dimentichiamo che questo è il paese dove il codice penale contempla non so quante forme di vilipendio; e dove si sente ancora pronunciare qua e là la famosa frase «lei non sa chi sono io», senza che questa susciti – come pure dovrebbe – la più sgangherata ilarità.
La vignetta disegnata da Forattini su Repubblica di domenica 4 dicembre, che voleva sottolineare – a torto o a ragione, qui poco importa – l’imborghesimento del Pci e le proteste cui ha dato origine (da quella, peraltro civilissima, di Paolo Spriano, a quella di Antonello Trombadori) ci offrono l’occasione per allargare il discorso al tema della satira politica in Italia. Con la collaborazione di Francesco Tullio-Altan, di Franco Bevilacqua, di Alfredo Chiappori, di Giorgio Forattini, di Tullio Pericoli e Emanuele Pirella, abbiamo dedicato una serie di disegni (alcuni eseguiti espressamente) a vari personaggi rappresentativi di determinate categorie. Questi disegni provocheranno reazioni sdegnate? Si griderà alla violazione di sacri valori? Siamo curiosi di saperlo. Intanto per dare il buon esempio, abbiamo fatto dell’autoironia, come dimostrano le vignette di Forattini su Forattini stesso e sul direttore di questo giornale.
Uno dei maggiori uomini politici del nostro tempo, Winston Churchill, adoperava abitualmente, e pesantemente, l’arma del sarcasmo contro i propri avversari. Di lui si ricordano due battute particolarmente feroci su Clement Attlee che allora guidava il partito laburista britannico. Una è questa: «Il signor Attlee è una pecora travestita da pecora». E la seconda: «Arriva a Downing Street un taxi vuoto, e ne scende il signor Attlee».
Non risulta che, in queste occasioni, i compagni di partito di Attlee siano insorti contro Winston Churchill, gridando alla provocazione. Ma già: gli inglesi hanno imparato a ridere di se stessi. Forse è per questo che da sette secoli sono vaccinati contro il virus del totalitarismo.