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 2017  agosto 18 Venerdì calendario

Terroristi quasi per caso

L’ultima ondata del terrore non conosce regole. Statisticamente, sembra colpire nel mucchio, senza preoccuparsi di simboli e motivazioni: una jihad contro i valori dell’Occidente, seminando morte nella folla del divertimento, tra le luci e i colori della vitalità europea contrapposta alla cupezza oscurantista delle bandiere nere dello Stato islamico. Le cronache ci parlano di auto lanciate sulle pizzerie dell’entroterra parigino, di furgoni scagliati tra i pub del sabato notte londinese, di camion che travolgono pedoni nelle strade di Stoccolma o di uomini che brandiscono coltelli assassini dove capita, persino ai cancelli di Westminster. Spesso gli inquirenti negano che sia terrorismo, fornendo ricostruzioni che parlano di «persone con problemi psichici» o di «tentativi di suicidio», ma parecchie di queste versioni ufficiali non convincono e lasciano il sospetto che si tratti di palliativi delle autorità per scacciare la paura dalla nostra quotidianità e per nascondere la loro impotenza. Non esiste un modello di difesa efficace contro questo terrorismo che può colpire ovunque e dovunque. I francesi dopo lo choc di Nizza, con la strage che ha travolto un anno fa i festeggiamenti del 14 luglio, hanno schierato l’esercito e militarizzato i centri storici ma l’arma più efficace si sono rivelati i camion della nettezza urbana: li hanno piazzati nelle vie delle manifestazioni pubbliche, per sbarrare i centri storici ai furgoni-ariete degli attentatori. Un’idea copiata poi in mezza Europa e persino negli Stati Uniti, con lunghe muraglia di autocompattatori a tutelare le parate nel cuore di New York o di San Francisco, come se l’unica barricata dell’Occidente fossero i mezzi della spazzatura. I progetti di “israelizzare” le metropoli europee con barriere architettoniche stabili e metal detector, più volte rilanciati da esperti d’ogni genere, non hanno mai trovato grandi consensi. Certo, tutti i paesi europei si trovano ormai a convivere con il terrorismo, ma Israele è troppo diverso da noi per dimensioni, caratteristiche sociali e presenza di persone armate: non ci sono muri che ci dividano dal “nemico”, che spesso in Inghilterra come in Francia è un cittadino nato e cresciuto lì. La follia di questo jihadismo disperato ha poi portato i kamikaze a prendere di mira proprio gli agenti incaricati di vigilare sulle zone chiave, come i poliziotti attaccati sugli Champs Elyseés, o i soldati travolti pochi giorni fa all’uscita della caserma di Levallois Perret: uomini dell’operazione Sentinelle che da due anni pattugliano notte e giorno le città d’Oltralpe. L’unica prevenzione che pare funzionare è quella più antica: il “controllo del territorio”, con le forze dell’ordine che sanno quello che accade sulla strada e così individuano i potenziali pericoli. Il modello che adesso viene più spesso citato – poche settimane fa lo ha analizzato il Guardian – è proprio quello italiano, a partire dal successo dei due agenti di turno che a Sesto San Giovanni hanno intercettato Anis Amri, il tunisino devoto all’Isis che dopo avere travolto con un tir il mercatino di Natale berlinese era riuscito ad attraversare indisturbato l’Europa. O il ventenne Ismail Tommaso Hosni bloccato a maggio nella Stazione centrale di Milano con il coltello in mano da una pattuglia mista di soldati e poliziotti. Ma si tratta di un dispositivo che non può essere inventato in poche settimane e richiede un’organizzazione consolidata, che il nostro Paese ha mantenuto passando dagli Anni di Piombo alla lotta alla criminalità organizzata. Sorprende invece come Barcellona sia stata colta praticamente di sorpresa dall’attacco. Il potente apparato antiterrorismo spagnolo, tutto rivolto al contrasto dell’Eta, dopo la fine della minaccia basca sembra in fase di smobilitazione. Sul fronte islamico mostrò la sua debolezza con il massacro di Atocha dell’11 marzo 2004: i treni dei pendolari fatti esplodere nell’ora di punta causando 191 morti e 1.800 feriti. Poi con il cambio di governo e il ritiro del contingente dall’Iraq, Madrid si era illusa di avere chiuso i conti con la questione jihadista. Ma le indagini hanno dimostrato che la ramificazione iberica di Al Qaeda era pronta a colpire ancora, inseguendo i fasti di Al-Andalus, dominio arabo spazzato via nel 1492 dalla conquista castigliana. Quella però era un’altra stagione. L’offensiva era gestita dalla creatura di Osama Bin Laden e Ayman Az-Zawahiri, due strateghi del terrore che sceglievano i loro obiettivi con una pianificazione minuziosa intrecciando rivendicazioni dottrinarie ed effetti politici, la storia antica dell’Islam e la spinta sulle imminenti elezioni spagnole. Oggi invece a guidare la campagna dell’odio ci sono emiri improvvisati sul web, spesso privi di vera preparazione religiosa ma capaci di trasformare musulmani ai margini della società europea in macchine di morte con messaggi ossessivi, quasi ipnotici: «Basta mettersi al volante di un furgone e uccidere». Violenza cieca, inculcata in assassini per caso, che prolungano la saga omicida dell’Isis sconfitto sul campo. Un’organizzazione che non sarà cancellata dalla conquista di Mosul e da quella imminente di Raqqa, ma vive una nuova metamorfosi, memore della lezione del suo fondatore Al-Zarqawi, rinnegato dal vertice qaedista proprio perché colpiva nel mucchio, senza distinguere tra credenti e infedeli: oggi non ha più uno stato né un esercito e cerca di rifondarsi tornando ai metodi terroristici, in Occidente e nei Paesi Arabi, contando sulla voglia di vendetta di una moltitudine di reduci, addestrati alla brutalità e alla guerra, e di tanti emuli sparsi ovunque. Lupi solitari o in branco, che non intendono arrendersi.