Il Sole 24 Ore, 17 agosto 2017
Berlino primo beneficiario del Qe: acquistati 400 miliardi di bond
È di oltre 400 miliardi di euro il controvalore di titoli di Stato tedeschi comprati sul mercato alla Banca centrale europea (Bce) da quando, ormai quasi due anni e mezzo fa, il piano di riacquisti noto come Pspp (acronimo di Public Sector Purchase Programme) venne varato per cercare di scacciare lo spettro della deflazione dall’Eurozona. Non sorprende come i Bund siano i più acquistati, proprio così come dalla Germania arrivino puntualmente le più aspre critiche al piano Draghi.
Si tratta infatti una questione di quote partecipazione al capitale della Bce stessa, che poi è dall’inizio del programma e fino a questo momento – decimo più, decimo meno – il criterio di suddivisione dell’ammontare da ritirare fra i vari Paesi membri: Berlino ha il peso maggiore (18%) e così appare anche giusto che i suoi titoli (e per inciso anche le sue finanze pubbliche, almeno in termini di impatto sui rendimenti delle nuove emissioni) siano i principali beneficiari degli acquisti. Con i suoi 404 miliardi (dato aggiornato a fine luglio) la Germania precede Francia (325,3 miliardi), Italia (283,7 miliardi) e Spagna (201,1 miliardi) in assoluta coerenza le quote di capitale appena indicate.
Nonostante il valore del debito tedesco presente sul mercato sia piuttosto elevato (oltre 1.600 miliardi di euro), fin dall’inizio del piano il tema della possibile scarsità di Bund è stato ben chiaro tanto nella mente degli operatori, quanto probabilmente in quella dei banchieri stessi dell’Eurotower. Punto chiave è il limite del 33% di titoli in circolazione di un emittente che rispettano i criteri del piano (sostanzialmente la durata residua da 1 a 30 anni) oltre il quale la Bce non può salire. Secondo stime degli analisti la Germania sarebbe ormai al 25% e quindi davvero vicina a detenere nei propri forzieri una quota che non permetterebbe ulteriori acquisti.
Altri Paesi come Portogallo (30%), Paesi Bassi (29%), Irlanda (27%), Finlandia (26%) e anche la stessa Spagna (26%) si troverebbero per la verità su livelli ancora più critici, ma è evidente che tutta l’attenzione – per la rilevanza politica e anche per l’effettivo livello del debito – si concentra sul caso tedesco. Sulla base dei calcoli di Frederik Ducrozet, economista di Pictet Wealth Management, il limite del 33% per i Bund potrebbe essere raggiunto a giugno dell’anno prossimo se la Bce dovesse proseguire il suo programma di riacquisti al ritmo attuale da 60 miliardi di euro al mese.
Lo spazio si dilaterebbe almeno fino a settembre del 2018 qualora, come ritiene ormai la maggior parte degli analisti, l’Eurotower dovesse decidere di prolungare sì il piano Draghi, ma con un esborso inferiore di denaro (40 miliardi di euro mensili) a partire da gennaio. E qualche mese in più si potrebbe guadagnare, arrivando fino a novembre e permettendo forse alla Bce di valutare in modo più accurato i risultati ottenuti sul controllo dell’inflazione, derogando in misura maggiore rispetto a quanto fatto fino adesso sui criteri di distribuzione degli acquisti basati sulle quote di capitale.
Quest’ultimo appare in effetti un tema piuttosto delicato, perché comprare meno titoli Bund del dovuto a vantaggio magari dei BTp potrebbe ragionevolmente scatenare la reazione dell’opinione pubblica tedesca, che già fatica a digerire il quantitative easing così com’è e preferirebbe un suo stop immediato. A maggior ragione se la variazione dovesse andare a favorire un Paese con il debito così elevato come il nostro.
Nella realtà la Bce sta tuttavia già da qualche tempo deviando dalle regole indicate e non solo sta acquistando meno bond portoghesi e finlandesi del dovuto, ma da aprile in poi ha in media comprato un quantitativo di Bund fra lo 0,5% e l’1% inferiore rispetto alla quota prefissata. Può darsi che si tratti di un mero dettaglio tecnico da non rivestire di ulteriori significati, ma tra più di un economista si fa strada l’idea che il futuro del piano si giochi anche su questo aspetto, e non soltanto sulle prospettive per l’inflazione europea.