16 agosto 2017
APPUNTI PER GAZZETTA - IL CASO REGENIREPUBBLICA.ITGiulio Regeni è stato rapito, torturato e ucciso da ufficiali della sicurezza egiziana
APPUNTI PER GAZZETTA - IL CASO REGENI
REPUBBLICA.IT
Giulio Regeni è stato rapito, torturato e ucciso da ufficiali della sicurezza egiziana. Una certezza che gli Usa hanno acquisito dall’intelligence nelle settimane successive al ritrovamento del corpo martoriato del ricercatore italiano al Cairo. Quello che Carlo Bonini e Giuliano Foschini sulle pagine di Repubblica scrivevano più di un anno fa, ora è messo nero su bianco anche in un lungo articolo del New York Times Magazine a firma di Declan Walsh. Il giornalista, che dal Cairo ha seguito tutte le fasi dell’inchiesta sull’omicidio, ha avuto conferma di questo da tre fonti dall’amministrazione Obama: dunque Washington aveva ottenuto "prove incontrovertibili sulla responsabilità egiziana", "non c’era alcun dubbio".
Da Palazzo Chigi però, su questo particolare decisivo, arriva una smentita. Fonti della presidenza del Consiglio sottolineano "nei contatti tra amministrazione USA e governo italiano avvenuti nei mesi successivi all’omicidio di Regeni non furono mai trasmessi elementi di fatto, come ricorda tra l’altro lo stesso giornalista del New York Times, né tantomeno ’prove esplosive’". Come dire, insomma, che un conto sono l’individuazione dei contesti e le convinzioni, altra cosa sono le prove. Le stesse fonti rimarcano infine come "la collaborazione con la Procura di Roma in tutti questi mesi" sia stata "piena e completa".
L’articolo arriva mentre nel nostro Paese è altissima la polemica per la decisione del governo italiano di far tornare al Cairo l’ambasciatore Giampaolo Cantini alla luce dei nuovi documenti che la procura egiziana ha trasmesso ieri a quella di Roma, relativi ad un nuovo interrogatorio cui sono stati sottoposti i poliziotti che hanno avuto un ruolo negli accertamenti sulla morte di Regeni. Interrogatori che erano stati sollecitati proprio dalla procura della repubblica di Roma. Ma se la consegna viene considerata "un passo avanti nella collaborazione" tra le due procure, come viene sottolineato in una nota congiunta firmata da Giuseppe Pignatone e Nabil Ahmed Sadek, i genitori del ricercatore non sono dello stesso avviso.
"Sempre più lutto!", scrive la mamma di Giulio Regeni, Paola Deffendi, in un post sul proprio profilo Facebook nel quale pubblica le foto della bandiera italiana listata a lutto esposta dal giorno della morte del giovane sul Municipio di Fiumicello, in provincia di Udine, dove vive la famiglia Regeni.
Da rep del 14 agosto
ROMA - Nuovo passo avanti sul caso di Giulio Regeni, il ricercatore italiano ucciso in Egitto lo scorso anno. La procura del Cairo ha trasmesso oggi a quella di Roma gli atti relativi ad un nuovo interrogatorio cui sono stati sottoposti i poliziotti che hanno avuto un ruolo negli accertamenti sulla morte del giovane. Interrogatori che erano stati sollecitati proprio da piazzale Clodio. La consegna viene considerata "un passo avanti nella collaborazione" tra le due procure, come viene sottolineato in una nota congiunta firmata da Giuseppe Pignatone e Nabil Ahmed Sadek.
ALFANO E IL RITORNO DELL’AMBASCIATORE
Alla luce degli sviluppi positivi nei rapporti tra i due Paesi, l’ambasciatore Giampaolo Cantini va al Cairo. Lo ha annunciato il ministro degli Esteri Angelino Alfano. L’8 aprile 2016 l’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni aveva richiamato l’ambasciatore dal Cairo, Maurizio Massari. Ufficialmente per consultazioni, in realtà per inviare un messaggio preciso ad Al Sisi. "L’impegno del Governo italiano - afferma il ministro Alfano - rimane quello di fare chiarezza sulla tragica scomparsa di Giulio, inviando al Cairo un autorevole interlocutore che avrà il compito di contribuire, tramite i contatti con le autorità egiziane, al rafforzamento della cooperazione giudiziaria e, di conseguenza, alla ricerca della verità. In qualità di rappresentante della Repubblica italiana, l’Ambasciatore Cantini curerà gli interessi nazionali in Egitto e la nostra importante comunità in quel Paese".
Durante un colloquio telefonico con il procuratore della Repubblica di Roma, Giuseppe Pignatone, il procuratore generale della Repubblica Araba d’Egitto, Nabil Ahmed Sadek, ha spiegato che - come già annunciato nel maggio scorso - è stata affidata ad una società esterna l’attività di recupero dei video della metropolitana. Attività che prenderà il via a settembre con una riunione tra l’azienda e la procura egiziana, alla quale sono stati invitati anche gli inquirenti italiani.
Nel corso della telefonata, è stato concordato un nuovo incontro tra i due uffici, che sarà organizzato dopo la riunione di settembre "per fare il punto della situazione e confrontarsi su quanto fin qui raccolto e sui possibili ulteriori sviluppi investigativi". "Entrambe le parti - si legge in una nota congiunta - hanno assicurato che le attività investigative e la collaborazione continueranno fino a quando non sarà raggiunta la verità in ordine a tutte le circostanze che hanno portato al sequestro, alle torture e alla morte di Giulio Regeni".
LA REAZIONE DELLA FAMIGLIA
Ma è polemica per la decisione del governo, dura la reazione della famiglia Regeni che esprime la sua "indignazione per le modalità, la tempistica ed il contenuto della decisione del Governo italiano di rimandare l’ambasciatore al Cairo. Ad oggi, dopo 18 mesi di lunghi silenzi e anche sanguinari depistaggi, non vi è stata nessuna vera svolta nel processo sul sequestro, le torture e l’uccisione di Giulio. Solo quando avremo la verità l’ambasciatore potrà tornare al Cairo senza calpestare la nostra dignità. La decisione di rimandare ora, nell’obnubilamento di ferragosto, l’ambasciatore in Egitto ha il sapore di una resa confezionata ad arte".
"Si ignora - aggiungono i genitori - il contenuto degli atti, tutti in lingua araba, inviati oggi, dal procuratore Sadek alla nostra procura, invio avvenuto con singolare sincronia mentre il governo ordiva l’invio dell’ambasciatore Cantini". "La Procura egiziana - dicono ancora - si è sempre rifiutata di consegnare il fascicolo sulla barbara uccisione di Giulio ai legali della famiglia, cosi violando la promessa pronunciata il 6/12/2017 al cospetto dei genitori di Giulio e del loro legale Alessandra Ballerini". Infine la famiglia conclude: "Sappiamo che il popolo Giallo di Giulio, le migliaia di persone che hanno a cuore la sua tragedia e la dignità di questo paese, sapranno stare dalla nostra parte, dalla parte di tutti i Giuli e le Giulie del mondo e non si faranno confondere".
LA TELEFONATA DI GENTILONI
In serata la telefonata di Paolo Gentiloni alla famiglia Regeni per spiegare le ragioni che hanno portato il governo a inviare nuovamente l’ambasciatore italiano Al Cairo: "Contribuirà - spiega il premier - all’azione per la ricerca della verità sul l’assassinio di Giulio Regeni. Una ricerca su cui prosegue la collaborazione tra le procure dei due paesi, come chiarito oggi dal procuratore Pignatone".
LA PRESA DI POSIZIONE DI AMNESTY E DI ANTIGONE
Dura la presa di posizione di Amnesty International Italia: "Il governo italiano dimostri che il ritorno dell’ambasciatore italiano al Cairo serve davvero per ottenere la verità per Giulio". Parole del presidente Antonio Marchesi che poi aggiunge: "Il governo ha preso una
decisione grave: quella di rinunciare all’unico strumento di pressione per ottenere verità nel caso di Giulio Regeni di cui l’Italia finora disponeva. Ora tocca al governo dimostrare che questa mossa temeraria può servire davvero, com’è stato sostenuto, a ottenere ’verità per Giulio’". Stessi toni usa Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone: "Come nella peggiore tradizioni italiana, a cavallo di ferragosto, si prende una decisione così fondamentale su un caso che da oltre un anno e mezzo vede impegnata la famiglia del ricercatore, i suoi legali e grande parte della società civile italiana in questa richiesta di giustizia. La verità è che da tempo si cercava una normalizzazione nei rapporti tra Italia ed Egitto, importante partner commerciale ed economico del nostro paese. Una normalizzazione che andasse oltre alle violenze commesse dal regime di Al-Sisi e oltre alla ricerca dei colpevoli per la morte di Giulio Regeni".
FASSINO E IL SOSTEGNO DEL PD
Fassino ha invece espresso il sostegno del Pd alla decisione del governo italiano. "Il ritorno dell’ambasciatore italiano a Il Cairo - sottolinea - potrà consentire di seguire direttamente e quotidianamente lo sviluppo delle indagini anche alla luce della cooperazione in atto tra le istituzioni giudiziarie. Al tempo stesso, la presenza a Il Cairo dell’ambasciatore Cantini consentirà all’Italia di mettere in campo le iniziative richieste dalle molte criticità che interessano il Mediterraneo".
CALABRESI: In quest’ultimo anno il lavoro della Procura di Roma e dei nostri investigatori è stato esemplare, sono state individuate responsabilità precise nella struttura dei servizi segreti egiziani, un organismo che fa capo direttamente al potente ministro dell’Interno. Ma la collaborazione della procura e delle autorità del Cairo è stata discontinua, lentissima e a tratti irridente. Ora, dopo mesi di silenzio, sono arrivati finalmente nuovi documenti, della cui bontà nessuno però è in grado di garantire. La strada sarà ancora lunga e non sappiamo se si arriverà mai al traguardo.
"Giulio Regeni fu sequestrato, torturato e ucciso dagli apparati di sicurezza egiziani con la consapevolezza del vertice del regime. Il New York Times dice che l’Intelligence americana aveva avvisato il Governo italiano il giorno dopo il ritrovamento del corpo del ricercatore. Questo dettaglio non cambia ciò che è avvenuto ieri. Si riflette sull’oggi e sulla mossa dell’Italia di inviare l’ambasciatore italiano - alla vigilia di Ferragosto - a Il Cairo"
Ecco i quattro casi più eclatanti di presunte verità arrivate dall’Egitto, puntualmente smentite.
1) L’8 febbraio il ministro dell’Interno egiziano Magdi Abdel Ghaffar, a cui fa riferimento la National Security, il servizio segreto interno, nega qualsiasi coinvolgimento degli apparati di sicurezza nella scomparsa e morte di Giulio. "Quelle che leggiamo sui giornali sono insinuazioni. Non conoscevamo Regeni" dice.
Un anno dopo si scoprirà che la National Security seguiva Regeni da almeno un mese prima della sua scomparsa. Share The Facts Magdi Abdel GhaffarMinistro dell’Interno egiziano
"Quelle che leggiamo sui giornali sono insinuazioni. Non conoscevamo Regeni" Il Cairo – lunedì 8 febbraio 2016 CondividiLeggi di più
2) I media egiziani hanno più volte segnalato come Regeni potesse lavorare per qualche Servizio estero, in particolar modo quello britannico. Tanto da essere arrivato a proporre dei soldi per finanziare il sindacato degli ambulanti.
Il video registrato dall’ambulante Mohammed Abdallah, per conto della National Security, certifica invece che Giulio Regeni era solo un ricercatore. E che stava svolgendo la sua ricerca accademica. "Giulio era un portatore di pace" dirà il procuratore generale egiziano Sadek.
3) Il ministero degli interni egiziano nel marzo scorso annunciò la risoluzione del caso Regeni dopo la morte dei cinque componenti di una banda di rapinatori, in un conflitto a fuoco con la Polizia. A casa di uno dei banditi furono trovati i documenti di Giulio.
Si è scoperto che fu tutta una messa in scena della Polizia. I cinque furono uccisi a sangue freddo e poi trascinati in un furgoncino. A portare i documenti a casa del bandito fu un poliziotto.
Share The Facts Ministero degli Interni Governo egiziano
Il caso Regeni è risolto: i documenti dell’italiano sono stati ritrovati in casa di un rapinatore ucciso dalla Polizia Il Cairo – giovedì 24 marzo 2016 CondividiLeggi di più
4) Gli investigatori egiziani, nell’immediatezza della morte di Giulio, sostengono che non ci sono immagini di circuiti di sorveglianza né all’esterno né all’interno della stazione della metropolitana dove Giulio è sparito.
Quelle immagini c’erano ma sono state sovrascritte perché mai la Polizia egiziana ha provato a recuperarle. Una ditta tedesca specializzata si è ora offerta per recuperare il girato cancellato ma da più di tre mesi si attende una risposta.
LASTAMPA.IT DEL 12 LUGLIO
«Vedrete che avrete la verità». Dopo un’ora e mezza di colloquio, intenso e a tratti anche amichevole, il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi congeda i propri ospiti italiani ripetendo la sua promessa: «Faremo di tutto per consegnare i colpevoli dell’omicidio Regeni alla giustizia». Da quei maledetti giorni di inizio 2016, dal ritrovamento del cadavere del ricercatore friulano, è la prima volta che una delegazione parlamentare italiana mette piede nell’imponente palazzo presidenziale del quartiere di Heliopolis, al Cairo: tre senatori della Commissione difesa del Senato, il presidente dem Nicola Latorre, il forzista Maurizio Gasparri, il Cinque stelle Vincenzo Santangelo, le tre forze politiche più rappresentative dello scenario nazionale.
Un’iniziativa «autonoma dal governo», come precisano, per discutere con il potente capo di Stato di immigrazione (di cui, sottolinea lui, l’Egitto si occupa sostenendo alti costi, evitando partenze verso l’Italia, senza chiedere soldi a nessuno), di Libia (anche lui assicura di non volerla vedere smembrata), ma soprattutto dell’argomento che da un anno e mezzo ha compromesso i rapporti tra i due Paesi, l’omicidio ancora irrisolto del nostro connazionale. «Gli abbiamo portato un messaggio chiaro e unitario - spiega all’uscita Latorre - l’Italia avverte fortemente il bisogno di verità, c’è bisogno di un impulso significativo nella cooperazione giudiziaria».
Una richiesta ripetuta da tutti e tre, ciascuno con le sue sfumature. «Mi sono scusato in anticipo dei toni che sarebbero stati molto diretti - racconta Santangelo - e gli ho detto che siamo arrivati al 60-70 per cento della verità, ma noi vogliamo il 100 per cento». Quello che anche lui vuole, garantisce ancora una volta Al Sisi facendo una ricostruzione del passato: prima, nel 2015, c’è stato un attentato al consolato italiano del Cairo, poi la morte di Regeni con il ritrovamento del cadavere proprio durante una missione dell’allora ministra dello Sviluppo italiano, Federica Guidi, accompagnata da una nutrita schiera di imprenditori, elenca, «sembra tutto studiato per dare un colpo ai rapporti tra Italia ed Egitto», come se ci fosse «chi vuole inquinare i nostri rapporti», spiega ai senatori, evocando anche, riportano, l’ipotesi di manovre di servizi segreti. E lamenta il ruolo della stampa italiana, colpevole, secondo il presidente, di oscurare ogni avanzamento dell’indagine.
Le relazioni diplomatiche sono congelate da quando, nel maggio 2016, dinanzi alla scarsa collaborazione egiziana, il nostro ambasciatore è stato richiamato in Italia: «L’auspicio è che questa iniziativa parlamentare aiuti a creare le condizioni per riportare l’ambasciatore italiano al Cairo», è la speranza di Latorre, «anche la comunità italiana in Egitto ce lo ha chiesto con insistenza». E pure il patriarca della chiesa ortodossa copta se lo augura, papa Tawadros II, che la delegazione visita nel pomeriggio portando solidarietà alla chiesa dei Santi Pietro e Paolo, luogo di un attentato in dicembre: in una fase non di normalità - si rivolge agli ospiti - ma di attacchi contro l’unità tra cristiani e musulmani, sarebbe importante ripristinare buone relazioni diplomatiche.
Si possono leggere segnali positivi nell’incontro con Al Sisi, provano a decodificare ambienti diplomatici, come la lunga durata del colloquio, ben al di là degli obblighi «protocollari», e anche il fatto che, all’uscita, il portavoce abbia rilasciato un comunicato per ribadire l’impegno egiziano sul caso. Così come il tono che, durante il faccia a faccia, si è fatto a un certo punto più confidenziale, con Santangelo che gli dice «noi Cinque stelle e lei abbiamo una cosa in comune: abbiamo entrambi fissato l’obbligo dei due mandati» e lui che gli risponde di guardare con attenzione al M5S in crescita, mentre Gasparri lo avverte: «Berlusconi is coming back», sta tornando Berlusconi.
Ora, spiegano dalla delegazione, deve essere l’Egitto a dare un segnale. «Il segretario della Lega araba, Ahmed Aboul Gheit, ci ha riferito che Alfano ha detto di essere soddisfatto dell’attività della procura», svela uno «sbalordito» Santangelo: la loro richiesta invece è che si faccia di più. Per ora sono arrivate solo parole e le ennesime rassicurazioni: se l’incontro di ieri sarà stato capace di produrre un’accelerazione, si capirà solo nei prossimi giorni.
LASTAMPA.IT
L’Amministrazione Obama era in possesso di «prove esplosive» sulle responsabilità di alcuni «alti papaveri» egiziani nella morte di Giulio Regeni, e questo portò ad un più che burrascoso colloquio tra l’allora segretario di Stato John Kerry e l’omologo egiziano Sameh Shoukry. Lo scrive il New York Times in un lungo articolo dedicato al caso del giovane ricercatore italiano ucciso in Egitto nel 2016 in circostanze ancora tutte da chiarire.
«Nelle settimane successive alla morte di Regeni», scrive il quotidiano in un reportage dal Cairo intitolato «Gli strani garbugli nel caso della scomparsa al Cairo di Giulio Regeni», «gli Stati Uniti vennero in possesso dall’Egitto di prove di intelligence esplosive, prove che dimostravano come Regeni fosse stato rapito, torturato e ucciso da elementi della sicurezza egiziana».
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Fonti dell’allora Amministrazione Obama citate dal giornale affermano che «si era in possesso di prove incontrovertibili delle responsabilità egiziane». E queste conclusioni furono comunicate «al governo Renzi su raccomandazione del Dipartimento di Stato e della Casa Bianca». Ma «per evitare di svelare l’identità della fonte non furono passate le prove così come erano, né fu detto quale degli apparati di sicurezza egiziani si riteneva fosse dietro l’omicidio».
Altre fonti sempre citate dal New York Times affermano: «Non è chiaro chi avesse dato l’ordine di rapire e, presumibilmente, quello di uccidere» Regeni, ma «quello che gli americani sapevano per certo, e fu detto agli italiani, è che la leadership egiziana era pienamente a conoscenza delle circostanze dell’uccisione» del ricercatore. Di più: «Non abbiamo dubbi di sorta sul fatto che questo fosse conosciuto anche dai massimi livelli. Insomma, non sapevamo se fosse loro la responsabilità, ma sapevano, sapevano».
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Questo portò alcune settimane dopo «l’allora segretario di Stato, John Kerry, ad un aspro confronto con il ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry, nel corso di un incontro che si tenne a Washington». Si trattò di una conversazione «quantomai burrascosa» anche se da parte della delegazione americana non si riuscì a capire se il ministro stesse erigendo un muro di gomma o semplicemente non conoscesse la verità». Un approccio brutale, quello di Kerry, «che provocò più di un’alzata di sopracciglio» all’interno della Amministrazione, dal momento che Kerry «aveva la fama di trattare l’Egitto con i guanti bianchi».
Nel frattempo i sette magistrati italiani inviati al Cairo «venivano depistati ad ogni pie’ sospinto» e lo stesso ambasciatore italiano Massari «presto smise di usare le email e il telefono per le comunicazioni delicate, ricorrendo ad una vecchia macchina che scriveva su carta sulla base di un codice criptato». Anche perché «si temeva che gli egiziani impiegati presso la sede diplomatica italiana passassero informazioni alle agenzie di sicurezza egiziane».
In serata, fonti di Palazzo Chigi sottolineano come nei contatti tra amministrazione USA e governo italiano avvenuti nei mesi successivi all’omicidio di Regeni non furono mai trasmessi elementi di fatto, come ricorda tra l’altro lo stesso giornalista del New York Times, né tantomeno «prove esplosive». Si sottolinea,altresì, proseguono le stesse fonti, che la collaborazione con la Procura di Roma in tutto questi mesi è stata piena e completa.
LASTAMPA.IT
Torna al Cairo l’ambasciatore italiano. Dopo un anno e quattro mesi di assenza, la Farnesina ha annunciato ieri la decisione di rinviare nella capitale egiziana il nostro rappresentante diplomatico, Giampaolo Cantini. A sbloccare la situazione - congelata da quando, nell’aprile 2016, l’allora ministro degli Esteri Paolo Gentiloni richiamò l’ambasciatore come protesta per la scarsa collaborazione egiziana sul caso della morte di Giulio Regeni - l’annuncio, fatto ieri dalla Procura di Roma, di aver ricevuto nuovi atti dai colleghi del Cairo, «un passo avanti nella collaborazione».
Una decisione maturata in realtà negli ultimi mesi, attraverso tappe successive e il lavorìo sotterraneo ma costante dell’“ala Realpolitik” del governo, rappresentata soprattutto da tre ministri: quello dell’Interno Marco Minniti, degli Esteri Angelino Alfano e della Difesa, Roberta Pinotti. Una scelta suggellata infine dal via libera del Quirinale al premier Paolo Gentiloni che, restio alla decisione dopo aver promesso alla famiglia che l’ambasciatore non sarebbe tornato al Cairo senza discuterne con loro, ieri assicurava ai genitori molto critici che il nostro diplomatico avrà «il compito di contribuire all’azione per la ricerca della verità».
E’ da quando, tra maggio e giugno scorsi, s’è registrato un nuovo impasse nella collaborazione tra Procure - con le autorità egiziane che negarono ai colleghi di Roma la possibilità di assistere agli interrogatori sugli agenti che svolsero le indagini sulla morte di Giulio – che chi nel governo è da tempo convinto della necessità di rispedire il capo missione al Cairo s’è messo al lavoro. A incaricarsi di un tentativo di mediazione è stato il presidente della Commissione Difesa del Senato, Nicola Latorre, vicinissimo al ministro Minniti: in luglio ha guidato una delegazione tripartisan (Pd, M5S e Fi) al Cairo per chiedere un «segnale» di maggiore cooperazione giudiziaria direttamente al presidente Al Sisi. Che, nota chi dall’Italia ha seguito tutta la vicenda, ha messo a un certo punto occhi e orecchie sulla questione: prima di questo incontro aveva inviato a Roma per lavorare a una ricucitura dei rapporti un suo fedelissimo come il presidente del Parlamento, Ali Ab del-Aal; poche settimane dopo, un altro uomo a lui vicino come il capo del sindacato dei giornalisti, il presidente del quotidiano filogovernativo Al-Ahram, Abdelmohsen Salama.
A giocare a favore della linea che voleva il rientro dell’ambasciatore al Cairo, il contesto di politica internazionale. Il riaccendersi della questione libica, l’incontro a Parigi tra il premier Sarraj e il generale Haftar, l’uomo della Cirenaica sostenuto dall’Egitto, ha fatto sottolineare a qualcuno di loro come il rapporto col Cairo sia necessario per gestire la difficile partita di Tripoli. Poi, ieri, la dichiarazione della Procura romana: sono arrivati atti relativi a un nuovo interrogatorio, sollecitato proprio da Roma, dei poliziotti che hanno avuto un ruolo negli accertamenti sulla morte del ricercatore friulano. In un colloquio telefonico con il procuratore Pignatone, l’omologo egiziano Nabil Ahmed Sadek ha ribadito che il recupero dei video della metropolitana – da tempo chiesti dall’Italia – è stato affidato a una società esterna e prenderà il via da settembre, con una riunione al quale sono invitati a partecipare i nostri inquirenti.
Segnali che hanno spinto anche il Colle a prendere posizione per l’invio dell’ambasciatore, naturalmente nell’ottica che contribuisca a dare impulso alla ricerca della verità . Così, alla vigilia di Ferragosto, a camere chiuse nel tentativo di sollevare meno polemiche possibile, l’annuncio dell’invio di Cantini. Plaude all’iniziativa il Pd («una decisione necessaria per l’accertamento della verità», approva Piero Fassino), come anche Fi, con Gasparri, mentre è una «pessima notizia» per Sinistra italiana.