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 2017  agosto 15 Martedì calendario

Dopo Psa-Opel, il mercato attende Marchionne

A ridefinire gli equilibri nel settore dell’auto in Europa ci ha pensato Carlos Tavares il febbraio scorso. Il blitz del ceo di Psa sulla Opel ha creato il secondo produttore del Vecchio Continente immediatamente alle spalle di Volkswagen, ha liberato Gm da un nodo che da tempo cercava di sciogliere e ha ristretto il campo delle possibili future alleanze.
È in questo scenario, mutato, che ora Fca si deve muovere. Ciò dopo aver cercato peraltro di recitare il ruolo di primo attore. Il ceo Sergio Marchionne è stato il primo teorizzatore del necessario consolidamento del settore ma in un colpo solo ha perso quello che per molto tempo è stato indicato come il partner principale, Psa, e ha ricevuto un secco no dall’altro potenziale interlocutore, Gm. Ora dunque Fiat Chrsyler ha un ventaglio di opzioni decisamente differente rispetto al passato seppure con prospettive che potrebbero rivelarsi comunque rosee. Perché ciò che preme, in sostanza, è individuare il soggetto giusto, quello che cifre alla mano riesca a garantire un volume tale di vetture che permetta di generare quelle economie di scala indispensabili per tenere alto il livello di marginalità. Fca in questo momento è al riparo grazie al fatto che le efficienze l’hanno spinta al 6,7% di redditività. Il tema dell’alleanza non ha dunque alcuna caratteristica d’urgenza ma in prospettiva va evidentemente messo in conto. I candidati a nozze, d’altra parte, non sono poi molti e qualcuno suggerisce che volente o nolente Fca potrebbe davvero guardare alla Cina.
Con Psa-Opel il discorso è evidentemente chiuso. La nuova realtà è fortemente concentrata in Europa e non potrebbe permettersi ulteriore sviluppo nel continente, tanto più viste le prospettive di crescita dell’area. Basti pensare che dei 4,3 milioni di vetture che il nuovo agglomerato venderà ben 2,5 milioni verranno assorbiti dal mercato Ue. Tra l’altro il blitz Psa-Opel ha fatto da contraltare alla mossa di Nissan-Renault su Mitsubishi e all’accordo aperto tra Toyota e Suzuki. Riguardo a Renault l’intesa con Nissan sta procedendo bene e il recente acquisto del 34% di Mistubishi sembra confermare la volontà di voler guardare con sempre maggiore attenzione verso Oriente più che in altre direzioni. E per restare in tema di Asia, se si va ad analizzare direttamente le mosse in casa delle giapponesi, l’approccio è sempre stato quello della conquista piuttosto che dell’accordo strategico. In questo quadro non va poi dimenticata Ford. L’altro colosso di Detroit ha per il momento imboccato una strada decisamente differente che lo porta lontano dal mirino di Fca. Dopo essersi liberata della Jaguar e di Land Rover, vendute agli indiani di Tata, ha ceduto Volvo a Geely e ha deciso di dare spinta a uno slogan che lascia poco spazio ai dubbi: one Ford. Ossia una sola Ford in tutto il mondo, che vuol dire essere presenti in tutti i mercati con il proprio brand senza stringere alcun matrimonio.
Sullo scacchiere le pedine rimaste sono quindi fondamentalmente tre. Gm potrebbe prima o poi decidere di sedersi al tavolo con Fca per tornare a contare sul mercato europeo da dove, dopo la vendita di Opel, è di fatto scomparsa. Anche se, si fa notare, il ritorno nel vecchio continente dopo aver consolidato la presenza in Usa, potrebbe passare da un nuovo accordo con Psa, a sua volta poco presente in America. Sullo sfondo resta sempre l’ipotesi Volkswagen, quella più finanziariamente industrialmente suggestiva. Una volta messo alle spalle il dieselgate, Vw si confermerà come il primo operatore al mondo per vendite, con marchi di prestigio e una sola debolezza: i numeri risicati che produce in Usa. Dove invece Fiat è forte grazie al marchio Chrysler. Questo senza contare il maxi polo del lusso che la nuova realtà potrebbe creare associando ad Audi e Porsche anche il brand Alfa Romeo e Maserati. Per non parlare poi del debutto di Wolfsburg nelle city car, grazie a Panda e 500. Questo scenario resta il più apprezzato tra gli operatori di settore ma se tutto questo non fosse possibile, la pista cinese sembra essere altrettanto gradita. Stando almeno alle reazioni di Borsa di ieri. Il governo di Pechino preme perché i propri costruttori crescano fuori dai confini nazionali e la loro presenza in paesi in via di sviluppo potrebbe essere la chiave per garantire volumi in crescita. Cruciale, in ogni caso, saranno i prossimi mesi e soprattutto la tabella di marcia che il ceo Marchionne vorrà imprimere in vista del suo addio, previsto per la primavera 2019.