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 2017  agosto 15 Martedì calendario

La morsa di Putin e l’esule Kasparov torna agli scacchi

Il re delle 64 caselle è tornato. A dodici anni dal suo ritiro dal gioco e a quattro anni dalla fine della sua avventura politica in Russia, “l’orco di Baku” siede di nuovo davanti a una scacchiera in un torneo ufficiale. Ieri Garri Kasparov ha esordito con una patta al “Rapid and Blitz” di Saint Louis. Solo «una parentesi di cinque giorni», assicura, ma quanto basta per trasformare la città del Missouri nella meta di pellegrinaggio di scacchisti rimasti orfani per troppo tempo della loro leggenda. Non c’è stato bisogno di lusinghe per il russo di origine azera che ha scelto l’esilio negli Stati Uniti dopo aver guidato l’opposizione contro Vladimir Putin. L’idea di tornare a competere è stata sua. Collabora da anni con il filantropo statunitense Rex Sinquefield che promuove il Grand Chess Tour, una sorta di grande slam parallelo agli eventi ufficiali organizzati dalla Fide, la Federazione internazionale degli scacchi. Kasparov stava discutendo insieme a Sinquefield e agli altri organizzatori a chi assegnare le quattro “wild card” quando ha ammutolito tutti dicendo: «Penso che una potrei essere io». «L’idea è piaciuta a tutti. Il mondo degli scacchi, abbiamo pensato, impazzirà». E così è stato. A 54 anni, Kasparov è il più anziano concorrente e si trova a competere con una generazione di giovani che lo idolatrano. Non prevede di vincere, anzi twitta ironico «siete pronti a vedere se ricordo come si muovono i pezzi?». E se mai si aggiudicasse il premio da 150mila dollari, lo stanzierà in Africa. Nel 1985 il giovane che sfidava un “mostro sacro”, Anatolij Karpov, era lui. Fu uno dei duelli più lunghi e seguiti della disciplina, al termine del quale strappò al suo compatriota il titolo di campione mondiale. Una corona che ha indossato per 15 anni, fatti di colpi teatrali. Come quando lui, soprannominato “il mostro con cento occhi che vede tutto”, sfidò Deep Blu, Profondo Blu, il computer Ibm, capace di analizzare 200 milioni di mosse in un secondo. Nel 2005 ha annunciato il ritiro per passare al “gioco” della politica: voleva contrastare l’ascesa folgorante di Vladimir Putin. Un gioco ad armi impari. Nel 2008 si è candidato senza successo alla presidenza a capo della coalizione d’opposizione Altra Russia. Nel 2011 e 2012 ha partecipato alla cosiddetta “Rivoluzione bianca” finita nella repressione. Dopo essere stato arrestato mentre sfilava a sostegno delle Pussy Riot, nel 2013 ha lasciato la Russia promettendo che non sarebbe più tornato. Una scelta, quella dell’esilio, che hanno seguito tanti protagonisti delle manifestazioni in piazza Bolotnaja: da Evgenija Chirikova, l’ecologista paladina del “bosco di Khimki”, che si è trasferita in Estonia allo scrittore Boris Akunin ritiratosi in Francia. Cinque anni dopo, i russi sono tornati a manifestare in vista delle presidenziali 2018. E parallelamente è ripresa la stretta repressiva: bavaglio a Internet, controllo dei giornali, inchieste mirate. L’ultimo finito nel mirino è il regista Kirill Serebrennikov, premiato lo scorso anno al Festival di Cannes. Sotto la sua recente direzione, il Centro Gogol era diventato il «teatro più libero e progressista di Russia». È stato l’inizio dei suoi guai giudiziari. Prima, lo scorso maggio, un raid in casa e una breve detenzione nell’ambito di un’inchiesta per frode. Poi, a inizio luglio, la rimozione dal cartellone del Teatro Bolshoj di Mosca del suo attesissimo balletto ispirato alla vita di Rudolf Nureyev. Infine, pochi giorni fa, il sequestro del passaporto. Kasparov in un libro l’aveva scritto: le autorità in Russia «preferiscono giocare a carte coperte perché solo così, come nel poker, è possibile bluffare».