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 2017  agosto 15 Martedì calendario

Polizze vita, tesoro sepolto 145 miliardi mai riscossi che lo Stato può incassare

La cifra complessiva è da far tremare i polsi: 145 miliardi di euro. Quasi cinque volte l’ultima legge di Bilancio, oltre trenta volte la somma necessaria per cancellare l’imposta sulla prima casa. A tanto ammontano, secondo un’indagine dell’Ivass, l’istituto che vigila sulle compagnie assicurative, le polizze vita scadute negli ultimi cinque anni e non ancora pagate dalle compagnie ai beneficiari: i titolari o i loro eredi. Una parte di queste, quelle non reclamate per dieci anni dalla scadenza, è destinata a finire nelle casse dello Stato, in un conto speciale dove affluiscono tutti i cosiddetti rapporti dormienti: conti, libretti di risparmio, depositi postali e altri prodotti finanziari non movimentati per un decennio. Per quale motivo giunte a scadenza queste polizze non vengono pagate? La colpa è di una combinazione di fattori. Innanzitutto dentro quei 145 miliardi ci sono polizze scadute relative a persone ancora in vita, e quindi non devono essere liquidate. Inoltre non sempre figli e parenti sono a conoscenza dei contratti assicurativi stipulati dai loro familiari e in caso di decesso dell’assicurato il rischio è che nessuno reclami queste somme. Le stesse assicurazioni infine, in assenza di una richiesta o comunicazione dei familiari, non operano un monitoraggio in tempo reale sui propri clienti. Risultato: se qualcuno di loro è morto rischiano di non saperlo o di non conoscere i nomi degli eventuali altri beneficiari. Fragilità messe in luce dall’indagine dell’Ivass, che evidenzia però come le compagnie assicurative non mettano in campo tutti gli sforzi necessari per svolgere queste verifiche. Su 52 società passate al setaccio 14 hanno dichiarato di non avere svolto alcuna procedura di accertamento per sapere se i loro assicurati fossero ancora in vita, prima dell’eventuale comunicazione di decesso. Complessivamente, per altre 35 imprese – si rilevano “procedure inadeguate” e solo tre sul totale evidenziano “procedure strutturate”. Quanto alla difficile ricerca dei beneficiari, l’indagine evidenzia come il 75% dei contratti indichi formulazioni generiche dei beneficiari (Come “eredi”, “Figli” “Genitori”) rendendo così più difficile la loro ricerca qualora questi non siano a conoscenza dei contratti stipulati. In particolare, si legge nell’indagine, «solo 5 imprese, nel 2016, hanno emesso almeno il 50% dei contratti che recano l’indicazione nominativa dei beneficiari; per 19 imprese il peso di tali contratti si colloca tra il 30% e il 49% e per le restanti imprese risultano percentuali inferiori e, in un caso, anche meno dell’1%». Gli strumenti a disposizione dei clienti, invece, ad oggi sono piuttosto scarsi. Il più utile è quello attivato dall’Ania, l’associazione che riunisce le compagnie assicurative, che mette a disposizione un numero di telefono da contattare per verificare l’esistenza di una polizza vita a carico di persone decedute. I numeri messi in evidenza dall’Ivass vanno però maneggiati con molta cautela. Non ci sono tesoretti nascosti da saccheggiare. La cifra emersa dal rapporto si riferisce ai 3,9 milioni di polizze che l’Istituzione definisce come “potenzialmente dormienti”. Contratti che prevedevano il pagamento di una somma nel caso in cui il decesso dell’assicurato fosse avvenuto prima di una determinata scadenza. Le cifre citate – rileva però la relazione – «potrebbero essere significativamente superiori rispetto alle effettive dormienti, dal momento che sono inclusi i casi di chi giunge in vita alla scadenza del contratto». Persone cioè che non incasseranno in quanto la scadenza è subentrata quando erano ancora in vita. Inoltre, si sottolinea, le somme tengono conto «del capitale fissato all’atto della stipulazione del contratto» senza considerare «i casi di diminuzione del valore». Fossero anche somme molto inferiori, una volta prescritti i diritti per titolari ed eredi dopo dieci anni, sono destinate comunque a finire nelle casse dello Stato al Fondo rapporto dormienti gestito dalla Consap, che si occupa anche delle pratiche di rimborso parziale, pari al 60% del capitale. Nel 2016 – secondo i dati dell’ultimo bilancio – agli aventi diritto sono tornati indietro 7,9 milioni di euro. L’Ivass ha compiuto poi una ricognizione approfondita anche sulle polizze a vita intera, quelle cioè senza una scadenza definita e che devono essere obbligatoriamente riscattate o liquidate al decesso dell’assicurato. Più difficile, in questo caso, capire quali siano ancora attive e quali invece intestate a chi invece non c’è più. Secondo i dati dell’indagine, risultano 429.599 polizze vita in vigore intestate a persone di età supe- riore a 85 anni. Se si scorrono però i dati più aggiornati dell’Istat sulla popolazione italiana sono in totale 2.061.666 i residenti totali in questa fascia di età. In altre parole, un quinto degli over 85 italiani avrebbe intestata una polizza vita. Più facilmente, molti di loro non ci sono più. Le assicurazioni non lo sanno, e forse non fanno proprio di tutto per scoprirlo. E lo Stato, alla fine, è pronto ad approfittarsene.