La Stampa, 15 agosto 2017
Un secolo di battaglie perse contro la Malaburocrazia. Nel 1921 la prima semplificazione. Ma neanche la tecnologia batte scartoffie e cavilli
Il 6 luglio è stato approvato dalla Conferenza unificata Stato-Regioni-Città un nuovo accordo «per la semplificazione e la standardizzazione della modulistica utilizzata da imprese e cittadini per presentare domande, segnalazioni e comunicazioni alla P.A.», in particolare riguardo alle attività di panifici, tintolavanderie e somministrazione di alimenti e bevande al domicilio del consumatore. La notizia non è tratta da un racconto di Borges. È uno dei recenti provvedimenti adottati all’interno della «Agenda per la semplificazione 2015-2017», si legge sul www.italiasemplice.gov.it ricco di notizie, cronoprogrammi e misurazione di oneri.
Perché la burocrazia si combatte passetto dopo passetto, come da anni promettono tutti i governi. Con una parola magica: semplificazione. A iniziare fu addirittura il governo Bonomi nel 1921 con la legge 1080 «per la riforma dell’amministrazione dello Stato, la semplificazione dei servizi e la riduzione del personale». Ma il tutto durò pochi mesi, travolto da eventi ben più grandi.
La Repubblica cominciò con molta buona volontà e un apposito ministero per la riforma burocratica guidato prima da Raffaele Pio Petrilli nel VI governo De Gasperi (1950) e poi da Salvatore Scoca nel governo Pella (1953). Il governo Segni fece approvare nel 1956 la legge 1404 e in pochi mesi censì 819 «enti inutili». Ma la loro abolizione fu ben più laboriosa. Infatti quando metti in liquidazione un ente, saltano fuori creditori, lavoratori dipendenti, cause. E fino a che non sei riuscito a risolvere tutte le questioni pendenti l’Ente continua ad esistere. Così l’Egeli (Ente per la Gestione beni ebraici e nemici), dichiarato chiuso nel 1957, cesserà definitivamente solo nel 1997; e il Lati (Ente per le linee aeree transcontinentali italiane) fondate da Italo Balbo è stato chiuso solo nel 2005!
Ma con il passare degli anni il peso burocratico è continuato a crescere. E allora sono iniziate riforme sempre più robuste. La riforma del parastato nel 1975. Il Rapporto Giannini nel 1980. Il ministro Cassese nel 1994 e poi Bassanini. Con una serie di leggi nel 1997 per snellire procedimenti e delegificare, avviando anche la «Legge annuale di semplificazione», come se fosse una legge finanziaria anti burocrazia.
In quegli anni non si sapeva neppure quante leggi esistessero in Italia. E così la legge n 388 del 2000 avviò un progetto per «l’informatizzazione e la classificazione della normativa vigente al fine di facilitarne la ricerca e la consultazione gratuita da parte dei cittadini, nonché di fornire strumenti per l’attività di riordino normativo». Con un finanziamento di 25 miliardi di lire per classificare tutti gli atti legislativi, e accorgersi che dal 17 marzo 1861, data di instaurazione del Regno d’Italia, ne sono stati pubblicati in Gazzetta ufficiale quasi 200.000.
Allora arrivò il ministro Frattini e nel 2005 pensò a un complesso meccanismo per abrogare tutte le leggi italiane procedenti al 1970, salvo quelle proprio indispensabili. Fu Calderoli a portare a compimento questa operazione «taglia-leggi», anche con un memorabile falò. Eppure di leggi vigenti ne abbiamo ancora troppe.
Nel frattempo è continuata la lotta per abolire gli enti sempre ritenuti «inutili», ma che sopravvivono serenamente. Però almeno dal 2009, il 30 settembre di ogni anno l’Istat pubblica in Gazzetta ufficiale il corposo «Elenco delle pubbliche amministrazioni».
La semplificazione non vuole solo abolire enti e leggi. Ma anche riformare profondamente il pubblico impiego. Per farne un modello di grande efficienza. Così possiamo ricordare tutta l’operazione di «privatizzazione» del pubblico impiego, avviata dal governo Amato (1993). Poi la buona volontà dei tanti successori.
Ancora l’impegno per l’innovazione e lo sviluppo delle tecnologie. L’agenda digitale, coordinata da apposito Ente (prima DigitPa, ora Agid). Senza dimenticare le tante iniziative regionali, a partire da Toscana, Lombardia, Emilia.
Ma perché la nostra vita burocratica è ancora così complicata? Come mai a tanti sforzi non corrisponde un concreto beneficio per i cittadini? Perché la burocrazia è ormai troppo macchinosa per essere combattuta da un singolo ministro o con una singola legge.
Serve una rivoluzione. Cruenta e coraggiosa. Un programma pluriennale che faccia tabula rasa di tutte le leggi, e riunifichi il diritto in una serie di nuovi Codici di settore (come la Francia sta facendo dal 1989); che davvero unifichi procedure e moduli, che renda i pubblici uffici accessibili e funzionali, che modifichi in radice la cultura del pubblico impiego, per porlo davvero al servizio della Nazione.
Una riforma di quelle che si attuano davvero in 10-15 anni. Per farla sul serio. Altrimenti moriremo tutti soffocati dalla burocrazia. Che ovviamente ce lo comunicherà via Pec.