Corriere della Sera, 15 agosto 2017
A un anno dal terremoto rimosso solo il 12% delle macerie. Due milioni di tonnellate di pietre, legno e metalli
«Mi’ nonno, co ’na pala, aveva fatto prima». La scritta ancora campeggia sulla Salaria all’ingresso di Grisciano. Residuo di una protesta dei terremotati che bloccò la strada statale ma non smosse granché. A terra sono ancora la quasi totalità degli edifici crollati il 24 agosto. Dati ufficiali non ce ne sono. Ma secondo le informazioni disaggregate fornite dalle Regioni, che incontreranno il 17 agosto il commissario straordinario per la ricostruzione Vasco Errani, si può tentare una stima.
Le macerie sono 2 milioni e 300 mila tonnellate e finora ne è stato rimosso solo il 12%, circa 278 mila tonnellate. Le situazioni più gravi sono nelle Marche e nel Lazio, dove i crolli hanno gettato giù interi paesi, come Amatrice, che da sola conta più di un milione di tonnellate di macerie. Dopo la nuova scossa del 30 ottobre, i detriti sono cresciuti, a causa dei puntellamenti non fatti adeguatamente. E senza eliminare i calcinacci di ricostruzione non si può neanche iniziare a parlare. Nelle Marche, su circa un milione di tonnellate, ne sono state tolte solo 123 mila, di cui 61 mila ad Arquata dove, secondo il sindaco, ammonterebbero addirittura a 500 mila tonnellate le macerie complessive. Liberati nella regione 44 Comuni su 52, ma restano ancora interi paesi del cratere dove è stata ripristinata solo la viabilità principale e molti sono ancora zona rossa.
Tra i muri crollati A Piedilama l’arrivo del premier Paolo Gentiloni aveva come sfondo ieri le ruspe dell’esercito. «Quella era una casa cadente da 30 anni, non c’entra col terremoto. È tutta fiction», dice Giorgia amareggiata mentre viola la zona rossa per mostrarci casa sua. «Abbiamo aspettato per mesi che venissero a liberare qualche viottolo, togliere qualche muro pericolante. Niente. Se non le tolgono non potremo ricostruire. Io quando posso vengo qui. Mi siedo su un sasso e la guardo. Era di tre piani. Bella. Non ci sarà più, ormai l’ho capito. Ma le faccio compagnia». Eppure «lavoriamo tutti i giorni, anche il sabato e la domenica e di notte: ma le difficoltà sono enormi», raccontano i responsabili della ricostruzione. I materiali vanno infatti divisi: prima di tutto va smaltito l’amianto, che anche se in piccole quantità potrebbe inquinare. Poi vanno divisi ferro e legno dalla pietra. E smaltiti in appositi impianti. Nelle Marche i consorzi occupati a raccogliere le macerie, Cosmari e Picerno Ambiente, hanno allestito anche un capannone dei ricordi, dove conservano foto, gioielli, pupazzi.
Poi ci sono le macerie «d’arte», quelle di cui deve occuparsi il ministero dei Beni culturali. Ce ne sono diverse in Umbria, dove sono stati pesantemente colpiti San Pellegrino di Norcia e Castelluccio. Eppure è la regione più avanti: 25% di macerie rimosse.
Il punto è che le procedure per appaltare i lavori di raccolta e stoccaggio sono spesso lunghissime e complicate dalla necessità di evitare infiltrazioni criminali, oltre che dal distinguere macerie pubbliche e private (non è un caso che le «pubbliche» siano state quasi tutte rimosse). La Regione Lazio ha appena aggiudicato due gare, per un valore complessivo di 13 milioni. Ma l’Abruzzo, dove sono stimate circa 160 mila tonnellate di macerie, ha avuto solo qualche giorno fa il parere favorevole dell’Anac per autorizzare due siti di stoccaggio. Il grosso andrà tolto da Campotosto, il paese più colpito, dove ci sono state ben 200 demolizioni.
Le case da abbattere Sono un capitolo dolente: a eseguire gli interventi è il Genio militare, che ha avuto questo compito. Ma che, secondo alcuni sindaci come quello di Amatrice, Sergio Pirozzi, dovrebbe occuparsi anche della raccolta: il suo Comune è quello che ospita la quasi totalità delle macerie della regione, è il più devastato. «Gli hanno fatto fare i carpentieri, gli idraulici, i pittori per le casette – dice Michele, di Sant’Angelo, una delle frazioni più distrutte di Amatrice —. Ma perché non gli hanno fatto portare via le macerie?». Sul Corso di Amatrice le ruspe, finalmente, ora lavorano di buona lena. È partito il conto alla rovescia per le celebrazioni dell’anniversario del sisma. Per quel giorno si tenta di lasciare libero il passo alla fiaccolata notturna. Ma soprattutto di riaprire, a senso alternato, il traffico alle auto. «È una sceneggiata. Vogliono far vedere che qualcosa si fa. Ma per un anno non hanno mosso una pietra», dice indignato Alfredo, 82 anni. Al solo nominare la parola macerie la pelle gli si fa di istrice. C’è rimasto sotto per 9 ore quel 24 agosto. «Per noi è un dolore enorme vedere ancora quelle case a terra, dove sono morti i nostri cari. Ci aspettavamo che da subito venissero a togliere quelle pietre. E invece niente. E perché adesso che c’è la passerella si sbrigano tanto?».