Dieci anni di Repubblica, 21 dicembre 1977
«Sono aggressivo per colpa di mia madre»
Di lei, Craxi, circola questo ritratto: rancoroso, settario, un po’ vendicativo, privo di senso autocritico, più capace di tattica che di strategia.
«Tutto sbagliato. Comunque, provi a rileggere».
Rancoroso, settario...
«Beh, settario... Dipende. Per la verità, a me tante volte mi rimproverano di essere un po’ ciula, dicono che sono troppo buono».
Mai sentita questa! E vendicativo?
«No. Piuttosto, io sono uno che ha la memoria lunga. Ho difficoltà a dimenticare le cose, e mi piace tener viva l’idea di ciò che io e gli altri siamo stati. Quanto alla politica, tento di avere una strategia, anche se cerco di non inventarmene una al mese, come fa qualcuno».
Parleremo poi di strategia. Adesso vediamo questo «enigma Craxi». Che cosa vuole? Quali obiettivi ha?
«Un certo numero di obiettivi che bisogna perseguire tutti nello stesso tempo, anche se non è facile. Il rinnovamento del mio partito. Un allargamento dell’influenza del Psi, cioè il rifiuto della teoria che noi saremmo un residuato storico, il rifugio senza avvenire di tutti i dissidenti e i minoritari di sinistra. Un riequilibrio dei rapporti di forza tra noi e il Pci. La nascita di una terza forza socialista».
«Terza forza» è una parola che desta allarme...
«Parlo di una terza forza radicata nella sinistra e costruita attorno al Psi, senza ricorrere ad operazioni di ingegneria partitica, del tipo nuova riunificazione socialista o intesa laica. Quelle sono operazioni confuse, perché si trascinano dietro le contraddizioni di altre aree politiche e le farebbero pesare sui socialisti».
Lei vuole costruire qualcosa attorno al Psi. Però la vostra immagine è negativa: un partito presente nel «Palazzo», ma sempre più assente nella società; un’oligarchia attestata in via del Corso e una struttura periferica sempre più debole...
«Purtroppo, quello è un processo cominciato molto tempo fa. Il Psi si era come rinsecchito nell’esperienza di governo e aveva perso molti legami con il paese. Oggi ristabilire quei legami non è facile. Ma nell’ultimo anno molte cose sono cambiate in meglio».
Quali cose?
«C’è un aspetto, come dire, primordiale: le feste dell’Avanti! Ne abbiamo fatte più del doppio che nel 1976 e con una partecipazione spontanea molto incoraggiante. Poi abbiamo cominciato a rivitalizzare la nostra presenza nel sindacato, sia nella Uil che nella Cgil. Lì il partito sta ricostruendo una forza importante».
È vero che lei predilige Benvenuto a Marianetti?
«No. Io mi muovo su piani politici, e non per simpatie. Le simpatie, se ce le ho, me le tengo per me. Mi dispiace solo che il coordinamento delle forze socialiste nelle organizzazioni sindacali sia difficile. Non c’è ancora. Quando ci sarà, disporremo di un meccanismo di cui nessun altro partito dispone, poiché i socialisti sono presenti dovunque, anche nella Cisl».
Gli altri segnali positivi?
«Nella cultura il risveglio socialista c’è ed è importante. Molti cervelli, anziani e giovani, funzionano. Quel che ci manca sono le organizzazioni di massa. E sono vere molte denunce di assenza del partito nella società. Siamo anche privi di uno schema organizzativo nuovo».
Due anni fa, lei mi aveva descritto lo schema organizzativo del Psi così: di seconda serie, frutto di un morandismo superato, che fa morire le sezioni e stenta a mobilitare gli iscritti.
«Oggi è ancora così. Il Psi non è capace di uscire all’esterno. È il nostro dramma. Abbiamo una capillarità da partito nazionale, ma la struttura, l’apparato sono «nudi» privi dei canali indispensabili con la società civile. Su questo punto non solo non siamo avanzati, ma c’è un ritorno a moduli vecchi a mentalità verticistiche, di clan...».
Lei diceva le stesse cose due anni fa.
«È vero. Ma io non mi faccio rimproveri. Ho girato l’Italia come un predicatore, per spingere il partito ad un impegno nuovo. Anche il nostro manifesto-programma è quasi pronto. C’è pure il materiale umano per il rinnovamento organizzativo: ho visto nelle federazioni molte energie giovani. Ma sarà difficile organizzarle in modo nuovo, se prima non si risolve l’altro punto grave, quello delle correnti nel partito».
Anche questa è storia vecchia...
«Certo che lo è. Però le correnti non sono eliminabili in un partito a regime libero. Quel che conta è che si sentano impegnate a mandare avanti i progetti principali del partito, compreso quello organizzativo. Oggi questo non avviene! Si lavora ancora sull’apparato «nudo», ci si contende il consenso della struttura. È il modo di far politica che ci ha rovinato».
Però il gruppo Craxi esiste e si dà da fare.
«Io non ho più corrente, e fino ad oggi non ho fatto nulla per formalizzare l’esistenza di correnti nuove. Anche su questo terreno è in corso un processo di semplificazione, e io mi sto battendo per far capire a tutti, anche ai miei amici, che bisogna coagulare forze politiche attorno a linee politiche e non a uomini o a posizioni di potere».
Eppure i suoi amici, a Milano e altrove, si muovono in modo spiccio, fanno la «campagna acquisti» in vista del congresso, promettono posti e incarichi, tagliano le gambe a chi non sta con loro.
«È falso. I miei amici non sono boss o padrini. Se ci sono atteggiamenti di durezza o di chiusura, derivano dal fatto che noi a Milano siamo stati in minoranza per anni. E stare in minoranza indurisce le posizioni».
E l’abitudine socialista alla denigrazione reciproca, compagno contro compagno? Anche questo è un vostro vizio duro a morire.
«Sì, c’è ancora una rissosità odiosa, con pessimi esempi di ipocrisia. Ma c’è un po’ in tutti i partiti. Il nostro guaio, e una delle ragioni della nostra decadenza, è che noi dedichiamo un tempo sproporzionato alla lotta interna e non al lavoro produttivo. Si possono regolare le faccende interne della famiglia, ma la famiglia deve continuare a lavorare. Noi, invece, viviamo mangiandoci il capitale, il patrimonio della tradizione socialista, senza rinnovarlo».
E così gli iscritti calano...
«C’è stato un calo di qualche decina di migliaia in Italia, anche al Nord, anche a Milano. Ma in taluni casi erano iscritti inesistenti, o «deboli». Tuttavia sono preoccupato per Milano. Non abbiamo risolto il problema del rapporto con la città. Le sezioni, spesso, sono parrocchie frequentate da pochi fedelissimi. Devo occuparmi più di Milano... Sono stato troppo in giro, all’estero, anche se questo è servito a ricollegare il Psi ad un circuito internazionale, al socialismo europeo».
È vero che questi suoi giri all’estero sono serviti anche a risanare le finanze del partito?
«Magari fosse così. Nel 1976 abbiamo ereditato una situazione finanziaria disastrosa: non una lira in cassa e alcuni miliardi di debito. Abbiamo razionalizzato alcune spese e stiamo lavorando, per adesso senza grandi risultati, per ridurre i debiti. Non abbiamo trovato grandi finanziatori del partito. Non c’è stato alcuno zio Sam o zio Helmut che abbia risolto i nostri problemi. In Italia i partiti spendono troppo per le abitudini degli altri paesi europei. Una volta che ho esposto a Kreisky, in Austria, qualche nostra cifra ha fatto un salto sulla sedia... E non c’è alcun partito socialista europeo, neanche la potente S.P.D. tedesca, che possa o voglia risolvere i nostri problemi. Men che meno l’Internazionale socialista. Questo i militanti socialisti devono saperlo».
Si dice che il Psi è povero, ma il gruppo Craxi no.
«Le ripeto che non ho alcun gruppo. E poi non è vero».
Dicono che sono suoi amici molti imprenditori e costruttori edili. Il Berlusconi, ad esempio.
«Perché dovrebbero essere amici miei? Berlusconi l’ho visto due volte in vita mia. Dice di essere mio amico e io non sono certo un suo avversario. È un ragazzo molto simpatico, e non mi ha mai chiesto niente. Per il resto, io di gente a Milano ne conosco tanta: industriali e operai, preti e spretati, barbieri e edicolanti...».
Conosce anche Montanelli? Pare abbia simpatia per la sua posizione...
«Montanelli l’ho incrociato una sola volta. E non mi pare abbia simpatia per me. Credo che sia un feroce avversario dei socialisti, da sempre».
E il nuovo direttore del Corriere? Dicono che lei sia stato uno dei suoi grandi elettori.
«Non vedo a che titolo. Da tempo lamentavo l’indifferenza o l’ostilità del Corriere verso i socialisti. Quando sono stato informato che Ottone aveva deciso di lasciare, e mi è stata chiesta un’opinione, l’ho detta. Ed era che io avrei visto volentieri un’accoppiata Ronchey-Di Bella, una grande firma e un uomo dell’organizzazione. Poi mi hanno informato che la combinazione non era possibile e che la scelta era per Di Bella. Questo è quanto».
Il Corriere di oggi ha più attenzione per il Psi?
«Mi pare di sì. Così mi sento un po’ più tranquillo. Spero solo che continui».
È vero che Rizzoli vi aiuterà a risolvere il problema del Lavoro, il quotidiano socialista di Genova?
«La situazione del Lavoro è molto difficile e non mi pare che Rizzoli sia interessato alla cosa».
E la vicenda del Messaggero? Ci sono state polemiche in questi giorni.
«Quando il Messaggero passò alla Montedison, il Psi aveva garantito una certa linea del giornale. Se la Montedison oggi vuole venderlo io chiedo che si faccia prima una discussione su chi lo compra, sulle condizioni in cui avverrà il passaggio di proprietà, su quale sarà la linea politica futura del quotidiano. Non voglio trovarmi di fronte a fatti compiuti».
Lei è un segretario molto «interventista», che si muove su tanti terreni...
«Forse lo sono per coloro che sperano in un Psi inerte, subalterno, imprigionato nelle sue debolezze, legato alla canna del gas come dicono a Milano, e che stia lì a crepare. Non voglio che il partito faccia questa fine. E non voglio farla io. È una scelta che deriva anche dal carattere. Lei mi ha chiesto all’inizio come sono. Io ho una carica di aggressività molto forte, talvolta violenta. Era un po’ il temperamento di mia madre. E poi, come le ho detto, sono uomo di memoria lunga».
Dipende anche da questa «memoria lunga» il suo rapporto difficile con i comunisti?
«Dipende principalmente da questo, visto che sono cresciuto alla vita politica in un momento aspro per i rapporti tra socialisti e comunisti. Non sono anticomunista, nel senso che io voglia mettere ai margini i comunisti, cosa che non avrebbe nessun senso, ormai, in Italia. Io sono contrario al comunismo, come credo lo siano anche buona parte dei comunisti... Dico proprio comunisti».
Qual è il più antisocialista dei dirigenti comunisti italiani?
«Non so se Franco Rodano sia un dirigente comunista. Se lo è, il premio Nobel dell’antisocialismo spetta a lui. Ma anche in altri dirigenti del Pci c’è nervosismo, diffidenza, sospetto. Sono manifestazioni di integralismo. Eppure io ho parlato molto chiaro sulla strategia socialista».
Il sospetto numero uno è che lei, Craxi, voglia riportare il Psi al governo con la Dc, tagliando fuori i comunisti.
«Può darsi che il sospetto sia questo. Ma non è vero. E loro lo sanno che non è vero. Oggi l’apertura a sinistra della Dc non può fermarsi al Psi: deve andare sino ai comunisti. È la strategia dell’emergenza. Noi non faremo un’alleanza con la Dc dividendo le forze della sinistra. Se anche io lo volessi, non me lo consentirebbe il mio partito. Ma io non lo voglio. Su questo non ci possono essere dubbi. Il punto di contrasto con il Pci è un altro, semmai...».
Quale?
«Il compromesso storico è concepito dai comunisti come un accordo diretto con la Dc, seguìto da un assorbimento graduale del Psi in un’area controllata, di sovranità limitata. E io non accetto l’idea di un processo in cui i socialisti vengono prima emarginati, poi sciolti e confinati nel ruolo dei garibaldini delle Argonne, da far vedere nelle cerimonie commemorative».
Tuttavia i sospetti su di lei rimangono forti.
«Ci sono molti modi per limitare la sovranità e ridurre gli spazi. Uno di questi è circondare di diffidenza o di cattivi odori un leader socialista «dissenziente», che non condivide le posizioni dei comunisti. Ci sono precedenti illustri: da Basso a Nenni a Riccardo Lombardi».
C’è anche il sospetto che lei non sia sincero quando dice: niente governo senza i comunisti.
«È assurdo! Come si può pensare che il Psi ritenga di risolvere la crisi del paese i tornando semplicemente al centro-sinistra? Sarebbe come se noi affermassimo: i comunisti dicono tutto quello che dicono, ma una volta preso il potere in Italia ci faranno fare la fine del topo, come hanno fatto fare la fine del topo a socialisti e socialdemocratici di altri paesi».
Lei ha talvolta pensieri del genere?
«Beh, io penso che il Pci sia in buona fede. Però voglio avere la forza sufficiente perché tutto sia chiaro. E quando penso ad un’ipotetica alternativa a sinistra in Italia, dico che deve reggersi tra le altre cose, su di un rapporto di forze garantito, meno squilibrato di quello che oggi esiste fra Pci e Psi. Ripeto: ci deve essere un minimo di riequilibrio».
E se alle prossime elezioni il Psi scende all’8 per cento?
«Sarebbe un bel guaio...».
Che cosa farebbe, lei, in quel caso?
«Non voglio neanche pormi il problema».
Quale problema?
«Di aver lavorato tanto per niente».