La Stampa, 13 agosto 2017
Merkel verso Mosca sulle orme di Bismarck. Perché Trump rischia di spingere la Germania tra le braccia di Putin
Ad anni di distanza dalla riunificazione tedesca, uno storico ha trovato una frase fulminante: «La Germania ha conquistato la sua Unità nazionale, la Russia ha perso l’Ucraina».
È una affermazione sorprendente, se si pensa alle aspettative inizialmente diffuse in Europa. Sembrò che dalla riunificazione tedesca e dal graduale allargamento verso Est dell’Unione europea, ne potessero trarre beneficio tutti gli ex-satelliti di Mosca. A cominciare dalla stessa Russia post-sovietica e dall’Ucraina in particolare.
Invece con il passare degli anni si sono acuite divisioni e crisi, culminanti nel distruttivo conflitto russo-ucraino, reso irreversibile con l’acquisizione della Crimea da parte della Russia e con la tenace ribellione delle regioni orientali sostenuta da Mosca. La reazione dei polacchi e dei baltici è stata immediata con la richiesta alla Nato di rafforzare militarmente i loro confini verso la Russia. Anche per l’Ue è ritornato urgente e attuale il problema della difesa e sicurezza dei propri confini orientali.
Ma dove passa esattamente il confine orientale d’Europa? Dentro o fuori l’Ucraina? Quale posizione si assegna alla Russia di Putin? A questo punto come stupirci che il presidente russo affermi perentoriamente che «il 1990 è stata la più grave catastrofe geopolitica del XX secolo?». E quindi va rimediata con un nuovo protagonismo politico-militare di Mosca?
Quanto è accaduto rappresenta una prospettiva inattesa e fortemente negativa per la Germania, se ricordiamo come si è mosso Helmut Kohl per far coincidere l’unificazione tedesca con il successo della politica di Gorbaciov, che parlava una «casa comune europea», lasciando intravvedere una imminente europeizzazione della Russia. Invece è accaduto il contrario. E oggi la cancelliera Angela Merkel (ex-pupilla di Kohl) si trova ad affrontare una situazione resa ancora più difficile dalla determinazione dell’America di Trump di esasperare le sanzioni contro la Russia nonostante le resistenze di molti governi europei. Da qui l’impegnativa affermazione di Angela Merkel: «Noi europei dobbiamo prendere realmente il nostro destino nelle nostre mani».
Che cosa vuol dire esattamente? Il «Noi europei» esclude la Russia di Putin? Il paradosso è che né Mosca né Berlino intendono turbare i loro buoni rapporti economici, in particolare per quanto riguarda l’approvvigionamento energetico di cui gode la Germania e i vantaggi che ne traggono i russi. Nonostante rimanga irrisolta la crisi russo-ucraina, che si tenta in qualche modo di congelare. A fronte della catalessi politica dell’Unione europea, dell’intransigente atteggiamento dell’imprevedibile Trump, delle incertezze inglesi dopo la Brexit, delle non chiare ambizioni geopolitiche del presidente francese Macron, diventa cruciale la riattivazione di un rapporto diretto tra Germania e Russia per la ricostituzione di un nuovo equilibrio europeo.
Non è banale parlare di «nuovo equilibrio europeo» intendendolo proprio alla lettera, con il coraggio di dichiarare conclusa la fase del dopo-1990. Non siamo davanti ad un ritorno alla Guerra Fredda, come dicono alcuni commentatori perché troppo diverso è il quadro odierno.
Si profila un’altra analogia che a prima vista può sembrare spericolata, perché riporta all’età classica dell’equilibrio delle potenze europee. È l’età di Bismarck che non a caso – per rimanere nell’ottica tedesca – faceva del rapporto con la Russia un punto chiave della tenuta dell’intero sistema dell’equilibrio europeo. La grande Germania riunificata da Bismarck e riconosciuta come «la potenza di centro» aveva a cuore l’alleanza con la Russia, potenza garante del lato orientale del sistema e territorio di immense potenzialità economiche. La Germania guardava a Est, naturalmente ben lontana dalla logica aggressiva che avrebbe caratterizzato poi l’idea nazionalsocialista della conquista violenta dello «spazio vitale» orientale.
Gli «interessi nazionali» ottocenteschi non sono immediatamente identificabili con quelli odierni. Eppure i cosiddetti «populismi» e «sovranismi» di oggi sono il segnale della rivendicazione di «interessi nazionali» che i governi si affrettano a legittimare, nel timore di perdere consenso elettorale.
Si tratta di interessi che si incrociano in modo confuso e contraddittorio. Le questioni permanenti di ordine monetario-economico della zona euro si combinano con l’insofferenza diffusa verso l’immigrazione e quindi con una nuova enfasi sui confini nazionali. Nel frattempo la questione libica e mediterranea complica e assomma in sé tutte le questioni.
Si ripresenta la questione dei confini che sembrava essere diventata obsoleta. Chi e come si governa il confine meridionale d’Europa verso il Nordafrica, dove la cancelliera Merkel settimane or sono ha fatto una rapida comparsa carica di promesse? Dove il presidente francese Macron ha ribadito un forte interesse dai contorni non ancora chiari? Dove l’Italia sta mostrando la sua legittima iniziativa preziosa ma politicamente fragilissima? Dove la Russia mantiene una significativa presenza con la sua flotta?
Come si vede, il quadro è complicato. Ma è evidente che «noi europei» (cui si riferisce Angela Merkel) stiamo perdendo l’orientamento comune. Se la cancelliera ha lanciato l’allarme, non si capisce ancora da dove voglia cominciare. Al momento è interamente assorbita dalle elezioni del prossimo settembre. Ma una volta uscita vincente, dovrà riprendere contatti costruttivi con la Russia di Putin. Dovrà rinnovare e aggiornare gli accordi di Minsk. Al suo fianco dovrà esserci inevitabilmente il presidente francese, interessato a fare come e meglio del suo predecessore François Hollande, senza entrare in competizione con Berlino. Solo così si profila un’ottima occasione di realizzare un forte europeismo indipendente – dopo tante belle parole.
Ma le difficoltà sono molto serie, a cominciare dal governo ucraino che non si rassegnerà alla perdita di fatto della Crimea anche se si continuerà formalmente a considerare tale operazione come illegittima. A questo proposito – da parte tedesca – è stato avanzato un suggerimento da Egon Bahr, il grande protagonista della Ostpolitik. Ha suggerito una analogia dello status attuale della Crimea con lo status della Germania comunista per lunghi anni dichiarato illegittima agli occhi dei tedeschi occidentali: «Il rispetto di fatto della Ddr è stato per vent’anni il quadro giuridico internazionale dell’intera Ostpolitik e degli accordi internazionali. Il rispetto della Crimea russa sarebbe una analogia, anche senza limiti di tempo». Si tratta in fondo di una sottile soluzione à la Bismarck che però difficilmente sarà accettata dagli ucraini...
Va detto con tutta chiarezza che Bismarck non si sarebbe mai posto il problema della legalità internazionale in termini di valore assoluto o la questione dei diritti civili delle popolazioni, tanto meno della democrazia. Per lui era solo un problema di equilibrio di potere/potenza, nell’ottica del mantenimento della pace. Bismarck non si è mai preoccupato della struttura autocratica dello zarismo e quindi da questo punto di vista oggi non avrebbe nulla da dire circa il regime illiberale putiniano. Questo è inaccettabile oggi per la cultura politica tedesca.
Ma in Germania non mancano voci autorevoli preoccupate della impasse in cui ci si trova. L’ex-cancelliere Gerhard Schröder ha scritto: «Quando noi tedeschi abbiamo collaborato con fiducia con i russi, quando l’Occidente non tentava ancora di mettere alla sbarra la Russia come presunto o unico colpevole di molti conflitti nell’Europa orientale o in Asia centrale, anche Mosca era cooperativa. Oggi non è più così». «L’Europa si trova davanti alla scelta: o diventa irrilevante oppure con un patto di associazione con la Russia si mette in condizione di operare economicamente e politicamente ad un livello simile a quello degli Stati Uniti e della Cina».
L’accenno alla Cina non è casuale. In occasione della visita del primo ministro cinese a Berlino, la cancelliera Merkel si è lasciata andare a inusuali elogi e aspettative di cooperazione. Insomma si sta delineando un orizzonte geopolitico e geoeconomico impegnativo.
Torniamo, per concludere, alla Russia. L’attuale presidente della Repubblica tedesca Frank-Walter Steinmeier, quando era ministro degli Esteri ha partecipato attivamente in prima persona all’elaborazione degli accordi di Minsk. In quella circostanza aveva sostenuto esplicitamente che «una sicurezza duratura per noi può darsi soltanto con la Russia, non contro di essa. Una sicurezza duratura per la Russia può darsi soltanto con l’Europa, non contro l’Europa». Queste parole le ha significativamente ripetute in occasione del bicentenario della nascita di Bismarck. Ma Steinmeier ha sentito la necessità di ribadire che la Germania odierna, pur avendo appreso la lezione bismarckiana dell’equilibrio tra le potenze e l’insostituibilità dell’alleanza con la Russia, non agiva più nella logica della «politica di potenza». La Germania infatti oggi è una «potenza civile», sensibile non soltanto ai legittimi interessi economici suoi e dei suoi interlocutori, ma anche ai valori fondamentali della libertà democratica e ai diritti civili. La questione è formulata con chiarezza. Ma il conseguente agire politico è tutto da inventare.