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 2017  agosto 13 Domenica calendario

Ma quanto è caldo il caldo percepito?

Cinquantaquattro gradi percepiti in Campania, 50 a Ferrara e 48 nel Lazio: non sono segni dell’Apocalisse né una versione casereccia delle Cronache del Ghiaccio e del Fuoco di George R. R. Martin, ma titoli di questi giorni che superano, come appello all’emotività, persino l’appena uscito An Inconvenient Sequel: Truth to Power (ed. Rodale), il saggio e documentario di Al Gore sul riscaldamento globale che sta accelerando. La differenza è che i dati snocciolati da Gore – come il fatto che per la prima volta nella storia umana i gas inquinanti hanno superato per tutto l’anno la quota di 400 parti per milione – sono misure oggettive, mentre quella delle temperature percepite è una guerra di numeri che cela margini di soggettività, confronti tra quantità ottenute in modo diverso e discordie su una figura che da marginale sta diventando sempre più importante nella società, quella del biometeorologo. Una figura affascinante, perché, forte di un’interdisciplinarietà che richiama l’uomo rinascimentale, si colloca al crocevia tra fisica, medicina, urbanistica e scienze sociali. Ma il turbinio di linguaggi e formule in cui il biometeorologo può esprimersi richiedono un pubblico attento e in grado di distinguere, pena la confusione dei giorni scorsi e una temperatura percepita che sembra essere una, nessuna e centomila. «In realtà è un concetto che non esiste in natura: più che parlare di temperatura percepita, dovremmo parlare di parametri che danno un’informazione sul disagio termico. Nella semplificazione dei media le temperature percepite vengono date in gradi, ma è improprio: si tratta invece di numeri adimensionali, utili solo a suggerire un indice di pericolosità del caldo o del freddo» sottolinea Enrico Scoccimarro, ricercatore del Centro euro- mediterraneo sui cambiamenti climatici di Bologna. Gli indici della temperatura percepita sono innumerevoli, hanno origini diverse – che vanno dalla climatologia alla medicina del lavoro, alla ricerca militare – e sono per lo più inconfrontabili tra di loro. Negli indici più usati per mettere in guardia contro il solleone i fattori chiave sono due: la temperatura ambientale e l’umidità. «I più importanti nel determinare la capacità del nostro corpo di perdere calore. Tramite la sudorazione, che dipende non solo dalla temperatura esterna, ma anche dall’umidità relativa: in un ambiente molto umido, l’efficienza del nostro sistema naturale di raffreddamento è più bassa perché è più difficile perdere le particelle d’acqua che abbiamo sulla pelle. Quando evapora, il sudore passando da liquido a gassoso usa energia e la sottrae al corpo: è questo che ci rinfresca. Ma se l’aria è già satura d’acqua, diventa più difficile per il sudore passare allo stato gassoso. E soffriamo». Se lo stress da calore è unico, molteplici sono i suoi nomi, come si conviene a un nemico insidioso e proteiforme: «Gli indici di valutazione dello stress termico, e quindi i diversi modi di intendere la temperatura percepita, sono oltre 150» spiega Marco Morabito, ricercatore all’Istituto di biometeorologia del CNR di Firenze. «Le ambiguità che pervadono i discorsi sulla temperatura percepita dipendono non solo da questa molteplicità ma anche dalla pretesa di voler esprimere in modo semplificato, con un numero, qualcosa di molto complesso e variabile come il rapporto tra l’organismo e il clima. Tanto complesso che l’indice oggi più completo, l’UTCI ( Universal Thermal Climate Index) tiene conto di fattori come vento, radiazione solare, andatura della persona, e usa un modello termofisiologico che divide il corpo umano in tanti segmenti e tiene conto anche dei diversi capi di vestiario. Esprime una “temperatura equivalente”. Un altro indice famoso è la “temperatura apparente” ( temperatura, umidità, pressione, velocità del vento, radiazione solare, proporzione del corpo coperta dai vestiti). Altro ancora è la “temperatura percepita” (temperatura, umidità, velocità, vento, nuvole)». E a ognuno di questi indici è associata una sua scala per il disagio umano. «Se in Italia utilizzassimo tutti lo stesso indice, allora potremmo fare confronti tra regioni e città. Ma non è così: in Toscana utilizziamo la “temperatura apparente”, indice tra i più completi definito negli anni 70, e oggi stiamo valutando di passare all’UTCI. Nel Lazio invece si usa il più vecchio indice Humidex (temperatura più percen- tuale di umidità). In Emilia Romagna l’indice di Thom (temperatura di un termometro a secco, umidità ricavata attraverso la temperatura di un termometro avvolto da garza imbevuta d’acqua) che risale agli anni 50…». Il risultato di questo federalismo climatico? Una babele di numeri che, al di là del sensazionalismo attira- click, è materia non popolare ma esoterica, per iniziati come il biometeorologo, scienziato dotato della virtù sciamanica di mettere in connessione l’assoluto della scienza con il relativo delle sensazioni umane. D’altra parte i suoi antesignani nel capire il ruolo dell’umidità nel disagio termico – secondo il godibile Cool: How Air Conditioning Changed Everything (Fordham University Press) dello scrittore americano Salvatore Basile – avevano gesti e sensibilità proprio da sciamano. Il New York Times nel 1903 riportava infatti che i visitatori della Borsa di New York, tra i primi edifici con aria rudimentalmente condizionata, “a volte si sorprendevano nel vedere un uomo farsi strada tra la folla con la testa all’indietro, annusando l’aria, mentre con la mano aperta sembra agguantare pezzi d’atmosfera: è l’esperto di ventilazione, i suoi sensi sono così affinati che può stimare l’umidità dell’aria col tatto”. Il biometeorologo, però, non si affida all’istinto ma alla scienza. E, col riscaldamento globale che incombe, avrà sempre più voce nel trasformare le città in avamposti contro lo stress termico: da un anno infatti i Piani d’azione sull’energia sostenibile firmati dai sindaci italiani tengono conto, nella rigenerazione urbana, per la prima volta anche della temperatura percepita in strade, piazze e viali. «Tra noi e i meteorologi, soprattutto d’estate, c’è qualche animosità: hanno ragione loro a dire che la temperatura percepita non è una vera temperatura, e abbiamo ragione noi a dire che però è utile come indice di disagio» spiega Teodoro Georgiadis dell’Istituto di biometeorologia del CNR di Bologna. «Ma mentre i biometeorologi trovano normale che si parli di temperatura percepita, i meteorologi sono entrati in una difesa puristica delle loro definizioni: alcuni di loro temono che in Italia, Paese dove la cultura meteorologica già non è diffusissima, alimentare il sensazionalismo con i numeri a effetto delle temperature percepite possa minare la credibilità dell’intero settore. Ecco perché oggi sembriamo divisi: però a settembre ritorniamo amici». È proprio questo l’ultimo paradosso del clima percepito: finita l’estate, finisce il grande freddo. ?