la Repubblica, 13 agosto 2017
Intervista a Ahmed Maitig, numero due del governo di Tripoli. Agli alleati europei: «Sui migranti dovete aiutarci ma nei centri qui in Libia»
«C’è una profonda differenza politica, quasi ideologica. C’è chi in Libia ritiene che sia possibile andare avanti usando solo lo strumento militare, attaccando, conquistando, imponendo il controllo militare a tutta la società. E c’è invece chi crede che fra mille difficoltà la società libica sia in grado di far crescere una forma di “democrazia alla libica”, una rappresentanza che tenga conto della tradizione del paese. Un metodo capace di esprimere i suoi uomini di governo in un sistema che preveda come sostituirli, come eleggere quelli nuovi senza bombardare i tuoi avversari! Noi lavoriamo a questo». Ahmed Maitig è il numero due del governo libico. Se fossimo in una società per azioni, Fayez Serraj sarebbe il presidente, così come è la guida del Consiglio presidenziale. Maitig sarebbe l’amministratore delegato, l’uomo operativo. Maitig parla in italiano, ha studiato in Gran Bretagna, ma utilizza benissimo quella che quasi con affetto celebra ancora come “la lingua di Dante”. «Ecco, l’Italia, l’Europa, l’America, la Russia, i paesi arabi nostri vicini sono di fronte a questo scenario: tutti gli europei, lo capiscono perfettamente, perfino chi da fuori segretamente appoggia l’opzione “ricostruiamo una dittatura”. Ma ricostruire una dittatura in Libia sarà impossibile, inventarsi un nuovo piccolo Gheddafi è il sogno malato di chi è rimasto fermo a progetti che forse andavano bene negli anni Sessanta, Settanta… Si può rallentare o favorire la soluzione, ma l’unica opzione è quella della politica, non quella dei militari che si impossessano della politica. Perché altri militari, altre milizie, altri partiti politici reagirebbero. Sarebbe una guerra dei Venti Anni insieme alle altre guerre del Medio Oriente». Prima domanda, direi quasi “logistica”: ma Serraj andrà ad incontrare Haftar anche a Mosca? «La Russia è un partner importante per noi, un partner storico della Libia. Siamo stati invitati a Mosca io stesso con Serraj, con altri ministri, e presto ci andremo. Ma non vogliamo alimentare nuove trattative dirette senza un’agenda, senza un piano per il negoziato chiaro, preciso. Per questo è inutile legittimare ancora discussioni senza una costruzione politica. No, Serraj per ora non va a Mosca a vedere Haftar». Haftar però nell’Est dimostra una capacità militare notevole, non crede che in Libia questo oggi conti molto? «Noi siamo aperti al dialogo politico con le autorità politiche dell’Est del paese. Ma insisto: secondo me oggi, vince chi ha un progetto, un programma politico, per una gestione ragionevole delle nostre società. Abbiamo molte difficoltà, ma stiamo lavorando a un progetto di pacificazione e gestione della Libia. Avventure simil-dittatoriali non hanno futuro». La Francia gli ha dato molto credito: troppo? «Io punto molto su un presidente energico ed attivo come Macron. Siamo ammirati dalla sua visione. La Francia saprà come fare le sue scelte, ha una sua storia profonda, non sosterrà politiche deboli anche se rappresentate in maniera apparentemente forte da nuove avventure dittatoriali. Aggiungo che come dice il ministro Alfano è il momento di ridurre ad uno il foro, le iniziative negoziali, e non può che essere questo il lavoro dell’Onu». L’Italia in Libia è stata al centro di polemiche per aver inviato a Tripoli una nave-officina. Davvero qualcuno crede a minaccia coloniale? «C’è stata una chiara polemica politica. Il presidente Serraj ha trasmesso all’Italia le richieste tecniche della nostra Marina. Dal 2008 c’era un accordo con l’Italia non applicato in tutto. Abbiamo chiesto assistenza tecnica all’Europa. Niente. Siamo tornati a chiedere assistenza all’Italia. E l’aiuto è arrivato. Come dice un nostro ammiraglio “non si invade un paese con una nave-officina”, giusto?». In Europa le polemiche continuano anche sul modo in cui in Libia vengono trattati i migranti riportati indietro. «L’altro giorno l’Unicef ha svelato un dato: secondo i loro calcoli in Libia ci sono 500 mila bambini a rischio di malnutrizione. Un paese con scarsa popolazione, con risorse economiche notevoli non riesce a nutrire tutti i suoi bambini. La Libia esce da una fase acuta di guerra civile. I migranti sono percepiti come un altro elemento destabilizzante, ma stiamo affrontando anche il problema dei loro diritti umani senza un vero aiuto dell’Europa. Perché la Ue, le Ong ancora non vengono a sostenerci? Ammetto, ci sono mille carenze, ma allora cosa aspettate per aiutarci a risolverle?».
Haftar dice che a Derna ci sono 200 terroristi dell’Isis. «Chi bombarda e assedia uomini, vecchi, donne incinte dice che lì ci sono terroristi dell’Isis. Ma Derna è l’unica città in tutto il mondo in cui i suoi cittadini, i suoi combattenti si sono ribellati e hanno sconfitto l’Isis da soli, senza l’aiuto dei bombardieri americani o russi. È un assedio medievale, una punizione collettiva. Noi Consiglio Presidenziale cosa possiamo fare? Riaprire la guerra civile? Questo assedio avrà ripercussioni per anni, va spezzato, bisogna avviare un negoziato e aiutare la popolazione di Derna che muore».