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 2017  agosto 12 Sabato calendario

Liceo di 4 anni: meno scuola e meno (40 mila) professori

Un potenziale risparmio di quasi 1,3 miliardi di euro e un taglio docenti che, a pieno regime, potrebbe arrivare a 40 mila cattedre: l’effetto della riduzione degli anni di scuola superiore e del loro passaggio da cinque a quattro era già stato calcolato quando, nel 2013, l’ipotesi della soppressione di un anno era allo studio del ministro dell’Istruzione del governo Monti, Francesco Profumo. E oggi, dopo l’approvazione del decreto ministeriale, non è cambiata.
Mercoledì è stato pubblicato il testo firmato a inizio settimana dal ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli. Prevede che, dall’anno scolastico 2018/2019, in cento scuole – tra istituti tecnici e licei – selezionate da un apposito comitato scientifico si avvii la sperimentazione quadriennale. Nessuna rimodulazione chiara: “Il corso di studi – si legge – assicura il raggiungimento degli obiettivi specifici di apprendimento e delle competenze previsti per il quinto anno di corso, entro il termine del quarto anno”.
Si parla della presentazione di progetti “di innovazione metodologico-didattica” finalizzati alla realizzazione dei percorsi quadriennali, della necessità che le scuole che si candideranno alla sperimentazione abbiano “un elevato livello di innovazione in ordine all’articolazione e alla rimodulazione dei piani di studio, all’utilizzo delle tecnologie e delle attività laboratoriali”, che potenzino lo studio delle lingue e che diano vita a processi di “continuità e orientamento con la scuola secondaria di primo grado, il mondo del lavoro, gli ordini professionali, l’università e i percorsi terziari non accademici”.
Si parla della possibilità di rimodulare il calendario scolastico annuale e il calendario delle lezioni “anche per compensare la riduzione di un’annualità”. Ma con un inciso: “Almeno in parte”.
“Il decreto non dà indicazioni precise su come questa riduzione inciderà sulle dotazioni di organico – spiega intanto Gigi Caramia, segretario nazionale della Flc Cgil – È evidente che, a meno che i ragazzi non frequentino 40-42 ore di lezione a settimana, ci sarà un forte ridimensionamento dei lavoratori, qualora la sperimentazione andasse a regime. Parliamo di circa 40 mila docenti, senza considerare il personale Ata”.
Un calcolo elaborato tenendo conto dei circa 220mila docenti delle secondarie di secondo grado e i loro 40-50mila euro di stipendio. Il decreto poi non ha presupposti tecnico scientifici: “Il piano – si legge nel testo – intende verificare la fattibilità della riduzione di un anno dei percorsi di istruzione secondaria di secondo grado”. Alla base, il dato secondo cui l’Italia sarebbe sotto la media Ue per quanto riguarda la durata delle scuole superiori e quindi l’ingresso nel mondo del lavoro. “Il fatto – spiega Caramia – è che metà dei Paesi europei termina il proprio percorso a 19 anni, l’altra metà a 18 anni. L’anno scorso fu diffusa una tabella che indicava l’Italia come l’unico Paese d’Europa in cui la secondaria di secondo grado durava 5 anni. Ma dimenticarono di dire che negli altri Paesi vi si entra a 15 o a 16 anni. Non a 14, come qui”.
Senza contare che una sperimentazione è già in corso dal 2014: riguarda i cosiddetti “Licei internazionali”, così definiti per la maggiore attenzione alle lingue straniere. In Puglia, le scuole pubbliche che vi hanno preso parte sono due, una a Bari e una a Brindisi. A parlare della situazione è Claudio Menga, segretario general Flc Cgil della regione. “Le prime impressioni che abbiamo raccolto su questa sperimentazione in corso non sono positive – spiega – e non si capisce come mai non abbiano aspettato l’anno prossimo per emanare il decreto. Sarebbe così stato possibile valutarne gli effetti, prima di estenderlo a tutta Italia”. Senza contare che, così com’è, la nuova norma è limitante: “Per le scuole che partecipano alla sperimentazione – spiega – sono previsti alti parametri qualitativi che finirebbero per danneggiare le scuole del sud rispetto a quelle del nord. Le infrastrutture non sono paragonabili, soprattutto laddove i contributi degli enti locali sono quasi assenti”.
Alessandro Prisciandaro è il presidente dell’Apei, l’Associazione pedagogisti educatori italiani, che nei giorni scorsi si è opposta alla sperimentazione: “La scuola deve garantire il diritto all’istruzione per tutti: non deve favorire alcuni soggetti rispetto ad altri, ma fornire pari opportunità per tutti. E questo significa rispettare i tempi di tutti. Non siamo all’interno di una logica aziendale, ma in un processo di crescita”. Il rischio, infatti, è che solo alcuni possano essere in grado di reggere 7 ore consecutive di lezione e di raggiungere obiettivi così concentrati.
“In pedagogia, i tempi sono importanti: l’apprendimento non è la ripetizione mnemonica di concetti, ma il ‘saper fare’, l’avere competenze anche di carattere sociale. Concordiamo con la sperimentazione, ma deve partire da una visione globale. Non ha senso accanirsi sulle secondarie superiori. Il cambiamento non può avere una visione parziale”. Anche perché diplomarsi un anno prima è già possibile: basta avere una media alta (tra il 7 e l’8 nei primi tre anni) ed essere uno studente modello.