il Fatto Quotidiano, 11 agosto 2017
Belluscone ritorna dagli inferi e ci spedisce imitatori e nemici
C’è un sirenetto. Appare tra i flutti ed è Silvio Berlusconi. Nello stretto passaggio tra una legislatura e l’altra – tra Scilla e Cariddi – Silvio rimembra e incanta col suo canto i naufraghi del centrismo tutti delusi da Matteo Renzi ormai senza futuro. Non la Riforma Costituzionale, né la Legge Elettorale, neppure il Jobs Act malgrado la fuffa e figurarsi la Riforma della Scuola gli sono andati in porto al Rottamatore e così – col Restauratore che ricompare – arretra Maria Elena Boschi, la madonnina di Laterina, e torna splendida, et très charmant, Mara Carfagna. E con lei, potente avanguardia telegenica, c’è anche Nunzia De Girolamo, c’è Anna Maria Bernini e c’è Stefania Prestigiacomo. Ebbene, sì: il sirenetto è anche uno Stregatto. E in un soffio – oplà – esce di scena la quadriglia renziana: Alessia Morani, Simona Malpezzi, Alessia Rotta e Pina Picierno.
L’affondamento è in atto. Massimo Cassano, sottosegretario al Lavoro, assapora il richiamo d’Arcore tra i marosi e si dimette dall’esecutivo di Paolo Gentiloni. Dorina Bianchi sta lì per là e Maurizio Sacconi coglie l’attimo per tramite di Stefano Parisi che, se non proprio federatore del centrodestra, è catalizzatore di particelle utili al dante causa di sempre: il Cavaliere.
L’inabissamento del renzismo è compiuto e così Enrico Costa, ministro per gli Affari Regionali, lascia il governo e nuota verso quel sorriso cui ogni agnellino guarda per trovarvi approdo di tenerezza e certezza di biberon.
Tutti gli scappati di casa – gli uomini e le donne al seguito di Denis Verdini, e così i Flavio Tosi, i Rocco Buttiglione, i Lorenzo Cesa – sognano di approdare a riva. Ma è su quegli scogli che Berlusconi attrae i naufraghi e li ammazza. E forse anche li salva.
Silvio – il Presidente – simile a un Minosse erto sul bordeggiare dell’Acheronte, giudica i dannati, avvolge intorno a sé la coda e, per ogni giro, decide il destino dei redenti: se l’oblio, come quello riservato ad Alessandra Mussolini e Daniela Santanchè, considerate eccessive ne’ tempi nuovi; se il vitello grasso, come per Maurizio Lupi, capo centuria di Comunione e Liberazione, quanto prima assegnato ancora in ruolo tra i beati; se una battuta, come per l’irascibile Renato Brunetta – “È il nostro Ernesto Carbone!” – se la “destruzione”, come per tutta la compagine di destra, a eccezione di Maurizio Gasparri, sempre a lui caro; se la promozione, come per Paolo Romani, elevato al rango di tessitore; se, infine, l’anatema, come per l’Angelino Alfano da continuare a buttare nel più angusto dei budelli al netto delle porcheriole di accordi consumati in Sicilia.
All’amo del Pescatore accorrono tutti: è un seggio alla Camera, o al Senato, o nei futuri ministeri, o – chissà – perfino un posto nel cerchio magico dove oggi Licia Ronzulli ricopre il ruolo che fu di Mariarosaria Rossi e Sestino Giacomoni e Valentino Valentini vanno a sostituire Alessia Ardesi e Deborah Bergamini.
Dato per spacciato, con un partito ridotto al lumicino, funestato da inchieste e condanne, sbertucciato dalle potenze europee – l’insopportabile Nicolas Sarkozy e Angela Merkel che se la ridono al summit dei Grandi –Berlusconi torna a essere Belluscone.
Silvio, come nel film di Franco Maresco è il Signore di Porto Salvo che conduce al riparo tutti quelli che più fortemente hanno peccato contro di lui e che più meritatamente, adesso, guadagnano il suo perdono. Lui è Padre Santo, Redentore, Conciliatore e Benefattore, va da sé.
La centrifuga è in piena attività a riprova della qualità del berlusconismo: vitto, alloggio, lavatura & stiratura. È quella propria di un organismo di cellule situazioniste, un serraglio del repertorio di Gioachino Rossini, una commedia tutta di canto dove Francesca Pascale – la fidanzata del Cav. – giammai sarà sostituita e Marina, la figlia, con il discorso sempre pronto di cui diede notizia Francesco Verderami sul Corriere della Sera (e che mai ebbe smentita) suggella la speciale eternità del marchio “Berlusconi”.
Eccolo: “Care amiche, cari amici, non avrei mai immaginato di essere su questo palco…”.
Corre l’anno 2013, Alfano contravviene all’accordo con Berlusconi – fondare Ncd per andare subito alle elezioni anticipate con Marina leader – e la discesa in campo dell’attuale presidentessa della Mondadori, con tanto di discorso redatto da Paolo Del Debbio, va in limbo.
Angelino, come l’angelo caduto che solo a Dio riconosce obbedienza, giammai ad Adamo –“Posso essere secondo a Berlusconi, mai l’ultimo anello del cerchio magico”, per come dichiara in quel tempo – stretto oggi nell’imbuto degli Inferi, come Lucifero, adesso che tutta la sua filiera lo lascia solo, biascica un solo ammonimento, sempre lo stesso: “Conosco il giudizio di Silvio su ognuno di loro”.
Berlusconi su tutti ha un giudizio, è vero, ma perdona. Lo fa attraverso Niccolò Ghedini che sta organizzando il deflusso di tutti verso più acconcia plaga. E Ghedini, che conosce tutta, ma proprio tutta la vita privata di Berlusconi, unisce in una sola persona il consigliere giuridico e il consigliere politico; non vanta galloni, non fonda partiti paralleli – come quello degli Animali, di Michela Vittoria Brambilla, o come quello degli Arrabbiati, di Del Debbio – non cerca visibilità, anzi. Così come Gianni Letta, e come Fedele Confalonieri, Ghedini c’è senza la formalità dell’organigramma ed è per questo che – forte di vero potere –sa come tagliare la testa al “serpente”, ovvero Angelino, sapendo che “la coda” degli accoliti gli sta tornando tutta in casa.
Berlusconi – popolarissimo come Totò, Padre Pio e Benito Mussolini – detta legge e governa anche dall’opposizione. Tra le larghe intese, quelle piccole e i Nazareni attesi, Berlusconi non esce mai dalla sceneggiatura arcitaliana contemporanea.
Incappa nella sfortuna solo nel 2008 quando, al culmine della popolarità e del gradimento, osa lo sconfinamento nella rispettabilità manco fosse un/una Boldrini qualsiasi.
A Onna, tra i terremotati, indossa il fazzolettone dei partigiani al collo e gliene viene male, malissimo: disarcionato dalla crisi, dal complotto di Giorgio Napolitano e dal tradimento dei suoi vice – primo al traguardo del badoglismo è Gianfranco Fini – Berlusconi entra nel cono del tramonto come neppure la lettera di addio di Veronica Lario, la sua signora, recapitata a Repubblica, può sperare di farlo spegnere.
Fa la sua traversata nel deserto, i giornali si dimenticano di lui e a Cesano Boscone dove alla Sacra Famiglia è assegnato ai servizi sociali a seguito della condanna per frode fiscale al processo Mediaset, coi malati di Alzheimer, ritrova quel qualcosa di sé che lo rende italiano più che arcitaliano. Come il professore Sassaroli in Amici Miei atto III, quando riorganizza la vita dei degenti nell’ospizio in cui sono ricoverati i compagni di zingarate, anche Berlusconi, “previa autorizzazione del Tribunale”, accompagnato al pianoforte da Fedele Confalonieri, canta per gli ospiti della struttura. Ed è solo così che il sole – già con la vittoria del centrodestra nelle ultime Amministrative, magari per demeriti altrui – gli torna ancora una volta in tasca.
È quell’immortale che con buon ragione, a Pietro Cascella cui commissiona il mausoleo funebre per sé, ad Arcore, rimprovera il costo eccessivo del sepolcro sapendo già di restarci tre giorni, al più. E a questo punto aveva ragione la buonanima di Scapagnini: “Berlusconi è immortale.”
Umberto Scapagnini, illustre farmacologo, l’aveva detto in forza di studi. Era tutta una scienza concentrata sull’effervescente fibra del Cavaliere cui Scapagnini – sindaco dell’eroticissima Catania – destinava le prime prodigiose pillole, e i beveroni energetici, in grado di tonificare la già priapea età del comando in quel 1994, l’era della discesa in campo.
Tre giorni d’oltretomba e ben quattro governi abusivi – Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni – non usurano lo smalto di un signore ottuagenario che dopo il pericolo comunista, a far impazzire la maionese della propaganda, trova quello populista.
Chi lo ha sfidato nella leadership – Fini, parlandone da vivo, e poi Pier Ferdinando Casini, Giulio Tremonti, ma anche lo stesso Matteo Renzi, il più impiastro tra i suoi eredi – non sa nulla del professor Sassaroli. Ma Beppe Grillo, il capo della marea CinqueStelle – la cui sfida è su campi avversi, e però affini – invece sì.
Nulla può, ormai, la politologia. Urge Aristofane. L’eternità è commedia.