Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  agosto 10 Giovedì calendario

Non è tutto Carnaroli il riso che luccica

Le leggi della Repubblica Italiana sono adorabili, i Borbone erano dei dilettanti. Mettiamo che Vi sia venuta voglia di cucinare un risotto e abbiate optato per il Carnaroli, perché ha il chicco più lungo e sodo e, per il maggior contenuto di amilosio, tiene meglio la cottura rispetto a altre varietà. Trovereste esilarante la lettura delle griglie per la denominazione dei risi, recentemente aggiornate sulla Gazzetta Ufficiale. Tutti i chicchi perlati venduti nel nostro Paese, classificati in base a larghezza, lunghezza, consistenza – ignorando la genetica e le caratteristiche organolettiche – possono essere venduti, puri o in miscela, etichettandoli con il nome del capostipite della categoria. Il risultato è che, in un pacchetto di Carnaroli, il 99% dei chicchi appartiene in realtà a altre specie o a nuovi cloni, messi a punto al solo scopo di ottenere maggiore resistenza e produttività, in barba al sapore, come a dire che la nostra agricoltura è ancora ferma all’ambizione di «un tanto al chilo». Per carità, le varietà antiche sono ben altre e il Carnaroli nacque solo nel 1945, incrociando il Vialone e il Lencino, ma allora era alto 1,60m, e non 60cm, e aveva caratteristiche di bassa resa e di eccezionalità nutrizionale e gastronomica. Se mai riusciste a trovarlo, sappiate che poi il gusto cambia in base al metodo di coltivazione, al terreno, alla lavorazione e alla conservazione. Come dire che un pomodoro non è un pomodoro e che uno non vale uno.
federicofrancescoferrero.com