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 2017  agosto 10 Giovedì calendario

Moon, l’anti Donald che si nega al telefono per dimostrare che Seul non ha paura

L’altro giorno il leader del mondo libero s’è visto chiudere il telefono in faccia, o quasi, nel Paese che l’America dovrebbe proteggere da Kim Jong-un. «Pronto? Qui è la Casa Bianca: c’è il presidente Trump al telefono per il presidente Moon». «Spiacenti, qui è la Casa Blu, ma il presidente Moon non è disponibile: può richiamare lunedì?». C’è poco da scherzare. «Può sembrare una decisione bizzarra» prendersi un weekend di vacanza «proprio nel mezzo di una delle crisi probabilmente più gravi del mondo», dice Foster Klug dell’Associated Press. «Eppure il gesto ben si inquadra nello sforzo di mostrare ai sudcoreani che prendere una pausa può aiutare a far meglio il proprio mestiere: anche se quel mestiere si esercita ai livelli più alti dello Stato». Il gesto ben si inquadra, va aggiunto, anche nello sforzo di mostrare ai sudcoreani che la fine del mondo può attendere: ieri l’ufficio del presidente ha diramato addirittura un comunicato per assicurare che malgrado gli allarmi internazionali c’è ancora «un’alta possibilità» per risolvere «in maniera fondamentale» la questione. Eccolo qui dunque Moon Jae-in, l’anti-Trump eletto a furor di popolo dopo la cacciata di Park Geun-hye, la figlia del dittatore Park Chung-hee ora in prigione per lo scandalo delle mazzette ordite con l’amica sciamana Choi Soon-sil. Perché sì, è vero, Mister Luna è finito alla Blue House, il palazzo presidenziale, con la promessa di riallacciare il dialogo con i fratelli-coltelli del Nord, rilanciando quella Sunshine Policy, la Politica del Sole che lui stesso contribuì a forgiare sotto i precedenti governi progressisti – e che adesso i media di laggiù hanno ribattezzato Moon-shine Policy. Ma se il suo gradimento continua a volare oltre il 70 per cento è anche per aver sbandierato un programma pieno di cose di sinistra. Per esempio l’altolà al superlavoro, la piaga che accomuna i coreani ai cugini giapponesi, e che oltre a distruggere le famiglie fa male all’economia: con l’invito, quindi, a rispettare i weekend, anche se al telefono si presenta Donald Trump. Oppure lo stop alla bolla immobiliare, grazie a una tassa che ha fatto crollare i prezzi e chiudere le agenzie milionarie di Gangnam, il quartiere dei ricconi di Seul reso celebre dalla parodia del rapper Psy: non proprio una mossa che piacerebbe al palazzinaro Trump. O ancora la battaglia contro la discriminazione dei gay nell’esercito: il contrario di quello che sta facendo The Donald rinnegando Barack Obama. O l’adozione come First Dog, cane presidenziale, di un bastardino, Tory, nel Paese dove i mezzosangue sono condannati a morte: proprio mentre in America gli animalisti rimproverano al presidente di non aver ancora trovato un erede al mitico Bo. Può bastare? In queste ore, con il mondo che teme chissà quale exploit di Kim, Moon s’è preoccupato di ricevere le vittime di ben altra tragedia: quella degli umidificatori killer che non ottemperando alle regole di sicurezza hanno colpito oltre 150 famiglie. Poi, certo, ci sarebbe la Bomba. Ma qui il tenero Moon si sta dimostrando anche più duro dei predecessori: chiedendo di rinegoziare gli accordi che in cambio della presenza Usa impediscono al Sud di riarmarsi come vuole. O azzerando il suo Stato maggiore: sostituendo cioè sette generali su otto e nominando ministro della Difesa un militare che arriva dall’aviazione invece che dall’esercito – una minirivoluzione strategica, e proprio in risposta alle conquiste missilistiche di Pyongyang. Chissà se ne ha parlato con Trump quando, dopo il weekend, finalmente gli ha risposto al telefono. Magari ricordandogli, di fronte alla minaccia di fare «fuoco e fiamme», che non è questo il barbecue di cui vanno giustamente orgogliosi in Corea: dal Nord al Sud.