Corriere della Sera, 10 agosto 2017
«Ha favorito gli scafisti». Il prete indagato: caccia alle streghe
«Il mio appello è che si ragioni e si torni al buon senso, perché la solidarietà non è un crimine». Il nome di padre Mussie Zerai è finito dall’elenco di candidati a premio Nobel per la pace al registro degli indagati della Procura di Trapani. La notizia è arrivata mentre si trovava in Etiopia, poi al ritorno ha trovato una brutta sorpresa: «Una notifica che mi avvisa che c’è una richiesta di proroga per un’indagine che è in corso da novembre 2016, per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, ma non mi viene contestato un reato particolare. Come prima cosa ho chiamato un avvocato di mia fiducia». Ma la sua linea difensiva la sa già: «I fatti rispondono per me, non ho nessun secondo fine o interesse: ho collaborato e cercato di salvare più vite umane possibili. Ma tutti quelli che ho contribuito a salvare non li conosco, non li ho mai visti in vita mia, quindi non è chiaro quale dovrebbe essere il mio interesse». Padre Mosè, come lo chiamo i suoi amici, quando riceve una chiamata dal barcone che è in pericolo raccoglie informazioni su donne e bambini, situazioni di particolare crisi, posizione. «Tutto questo – spiega – l’ho imparato dalla Guardia costiera che negli anni mi ha detto cosa chiedere». Non si è stupito nemmeno troppo nel vedere il suo nome accostato agli interessi dei trafficanti: «C’è una caccia alla streghe, la criminalizzazione della solidarietà verso profughi e rifugiati. È un paradosso. Il cardinale Tettamanzi diceva che “il diritto dei deboli non è un debole diritto”, invece oggi sembra che i deboli non abbiano diritti». Davvero è andato in Svizzera per contrasti con il Vaticano? Ride, qualche giornale l’ha letto: «Questa è la cosa più falsa che sia stata scritta. Sono stato mandato dal mio vescovo in Svizzera perché lì avevano chiesto un sacerdote eritreo per la comunità eritrea. Quindi faccio da pendolare, tra Roma e la Svizzera. Nessuno mi ha cacciato».