Il Sole 24 Ore, 9 agosto 2017
Big Oil, utili triplicati nel 2017. Le dieci maggiori società in Europa registrano profitti semestrali in crescita a 32 miliardi di dollari
Nonostante il prezzo del petrolio ancora sotto pressione le big petrolifere sono tornate a vedere il sereno nel primo semestre di quest’anno. Al netto delle poste straordinarie le 10 maggiori società per capitalizzazione in Europa e Stati Uniti hanno archiviato la prima metà dell’anno con quasi 32 miliardi di dollari di profitti stando a un’elaborazione che Il Sole 24 Ore ha fatto su dati S&P Market Intelligence. Il dato aggregato risulta pari a tre volte tanto quanto portato a casa nello stesso periodo dello scorso anno. Non accadeva dalla prima metà del 2015 che il settore facesse tanti utili.
Come mai allora da inizio anno gli indici settoriali in Europa e Stati Uniti hanno perso rispettivamente il 7 e il 12% in decisa controtendenza rispetto al resto del mercato azionario? Questo è successo perché il mercato aveva messo in conto un prezzo del petrolio ben più alto di quello attuale. L’accordo in sede Opec (il cartello dei maggiori Paesi produttori) sul taglio della produzione, considerato un passaggio decisivo nel risolvere i problemi di eccesso di offerta di greggio, aveva alimentato uno spettacolare rimbalzo delle quotazioni di Brent e Wti salite di quasi il 100% dai minimi di febbraio ai massimi di dicembre dello scorso anno. La scommessa di molti era che questo trend rialzista continuasse anche nel 2017. Così non è accaduto anche perché si è capito che gli squilibri di domanda e offerta alla base del collasso dei prezzi tra il 2014 e il 2015 non sarebbero stati sanati tanto velocemente. Gli effetti del taglio Opec sono stati compensati da altri fattori, come ad esempio la decisione dell’industria dello shale oil americana di aumentare la produzione. La grande cavalcata del prezzo del greggio si è così arrestata e il prezzo è tornato più volte quest’anno sotto la soglia psicologica dei 50 dollari al barile trascinando al ribasso i titoli delle società petrolifere.
Il timore di una parte del mercato che questi prezzi potessero pregiudicare la capacità delle major di fare profitti è tuttavia stato parzialmente scongiurato. Nel secondo trimestre di quest’anno gli utili aggregati delle 10 big petrolifere sono risultati in calo rispetto ai primi tre mesi dell’anno ma la flessione, da 17,4 a 14,4 miliardi di dollari è stata meno marcata del previsto visto che, a livello aggregato, è stato annunciato circa mezzo miliardo di utili in più rispetto alle stime degli analisti.
I ricavi delle 10 major petrolifere sono anch’essi cresciuti nel primo semestre del 2017 attestandosi, a livello aggregato, a quota 628 miliardi di dollari. Anche in questo caso si tratta del miglior dato da due anni a questa parte ma il tasso di crescità rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso non è comparabile a quello degli utili: se questi ultimi sono triplicati il fatturato è cresciuto solo del 30 per cento.
Se utili e ricavi hanno viaggiato a due velocità è per via dei drastici interventi sui costi fatti in questi anni dalle major per far fronte alla crisi del greggio. Dismissioni, tagli al personale, razionalizzazione dei costi e soprattutto il dimezzamento della spesa per investimenti. Questa è stata la strada percorsa dalle 10 big petrolifere per fare i conti con il collasso dei prezzi. Tre anni fa le 10 big petrolifere destinavano quasi 100 miliardi di dollari a semestre in spesa per investimenti. Oggi questa voce, a livello aggregato, vale circa 52 miliardi di dollari.
Altra notizia positiva riguarda i flussi di cassa. Se nel primo semestre dello scorso anno le 10 major avevano registrato flussi di cassa negativi per circa 20 miliardi di dollari a livello aggregato nella prima metà dell’anno sono arrivate risorse fresche per circa 38 miliardi di dollari. Un fatto positivo secondo gli analisti di Bernstein secondo cui questi flussi di cassa consentiranno, in Europa, di coprire completamente le spese per il pagamento dei dividendi senza dover indebitarsi come avevano fatto negli anni passati.
Il contesto di mercato resta comunque difficile. Con un prezzo del petrolio che difficilmente tornerà oltre i 100 dollari tanto velocemente le major stanno imparando a convivere con il nuovo contesto e in futuro dovranno presumibilmente adottare un atteggiamento estremamente prudente quando si tratterà, ad esempio, di approvare nuovi progetti di esplorazione. Escludendo a priori ad esempio quelli più costosi che rischiano di rivelarsi antieconomici in un contesto di prezzi bassi.