la Repubblica, 9 agosto 2017
Dopo Bolt. Van Niekerk, il lampo del supplente l’atletica cerca un volto da amare. Oro in 43”98
Prima missione riuscita. L’oro nei 400 in 43”98. Senza Makwala una gara senza storia. Da lui ci si aspetta il futuro. Il post Bolt, per tutti è l’erede. Già lo chiamano Waydream. O semplicemente con le inziali: WVN, proprio come l’altro era MJ. Ma Wayde Van Niekerk corre meglio di Michael Johnson, detto soldato di piombo. Vola sulla pista, pare un fruscio, una gazzella. Ha un piede leggero, è composto, è essenziale. Non si disunisce mai. Se Bolt era un ciclone in arrivo, Wayde è una corrente d’aria che spalanca le porte. Appena l’anno scorso WVN ha regolato i conti con MJ, abbassando di 15 centesimi il suo mondiale, vecchio 17 anni, portandolo a 43”03 e migliorandosi di 45 centesimi. Il suo sprint sul rettilineo è roba da frazione di staffetta, estrema e lanciata. Se Bolt ha scippato la velocità all’America e ha reso la Giamaica very fast, anche Wayde a Rio in nome del Sudafrica ha fatto l’impresa, strappando il feudo dei 400 metri agli americani (19 titoli olimpici). Per trovare un primatista del mondo non yankee, bisogna tornare a Roma ’60 quando Carl Kaufmann, tedesco nato a New York, di professione tenore, divise il fotofinish con Otis Davis, e vinse per un centesimo. Altro paragone: Bolt dal 2008 a oggi ha fatto rialzare la testa alla Giamaica e ha guidato l’isola caraibica all’attacco degli Usa, facendo crescere un movimento. Wayde sta facendo lo stesso per il Sudafrica e a Rio ha regalato al suo paese una medaglia d’oro che mancava da vent’anni (l’ultimo era stato Josia Thugwane nella maratona di Atlanta ‘96). Bolt aveva 100 e 200 metri per far ballare il mondo, Wayde ne ha quattrocento e altri duecento per convincere tutti che il grande esploratore dei nuovi territori sarà lui. Alberto Juantorena “El Caballo” ne è convinto: «È straordinario, non gli manca niente». Se Bolt come carattere è un fannullone, Wayde è proprio l’anti- Bolt: s’impegna sempre al massimo, fino a quando ha l’ultima goccia di carburante, tanto che due anni fa ai Mondiali di Pechino lo portarono via in barella dopo una corsa estenuante. Non è un caso che alla fine del giro di pista l’acido lattico si accumuli, la vista si offuschi, tanto che MJ ha sempre parlato di «un abisso che assomiglia ad un massacro». E per dirlo lui che li ha corsi 22 volte sotto i 44” significa che lo sforzo è veramente asfissiante. Se l’ultimo Bolt era bello solo negli ultimi trenta metri, Wayde lo è sempre, soprattutto sul rettilineo finale, sintesi di leggerezza e potenza. Van Niekerk è nato nel ’92, due anni dopo la liberazione di Nelson Mandela, è di Capetown, vive a Bloemfontein, Orange Free State. Tra pochi mesi si sposa. Suo padre se n’è andato, sua madre convive con un altro uomo, che gli ha fatto da papà e con cui lui ha buoni rapporti. Wayde per molto tempo non ha avuto i soldi per comprarsi delle scarpe da corsa. Non ha paura dell’eredità boltiana, ma dice di non volersi bruciare le ali. Però allenandosi qualche volta in Giamaica, qualcosa da Usain ha imparato: sorride di più, parla con più consapevolezza, non è più impaurito, e magari anche nelle batterie prima di tagliare il traguardo si volta verso il suo rivale e gli dice: non mi far spingere troppo (chissà da chi ha preso?). A Rio l’anno scorso Bolt dopo aver vinto l’oro in staffetta si è trattenuto sul campo per vedere la corsa vincente di Wayde e complimentarsi. A tutti è sembrato un passaggio di consegne. L’erede prescelto dal re che si vuole accertare della consistenza del suo successore. Van Niekerk ha 25 anni, nessun grillo per la testa, è allenato da una signora con i capelli bianchi, che porta spesso gonne a fiori, che è una magnifica allenatrice, senza urlare o fare la professoressa. «A Wayde non ho insegnato niente, lui se vuole una cosa s’impegna e la ottiene». Ora bisognerà vedere se vuole il mantello di Bolt o se per lui è troppo usato.