la Repubblica, 9 agosto 2017
Criptovalute a rischio bolla stop della Sec agli speculatori
A dispetto del nome che sembra evocare le grandi truffe del passato, dal caso Madoff allo scandalo Enron, dal “Lupo di Wall Street” alla “Balena di Londra”, le criptovalute – in gergo cryptos – continuano a farsi strada nella finanza globale. «Mentre i nostri nonni si affidavano alla pensione, le nuove generazioni puntano sempre più sulle valute digitali», ha spiegato il New York Times, raccontando che non è più un fenomeno limitato ad “anarchici del web” o “speculatori asiatici”, come nei primi tempi del Bitcoin, che ha fatto da precursore e ora, con lo scisma della variante Cash, si è spaccato in due. Le criptovalute sono ormai centinaia: Ethereum, Ripple, Litecoin, Dash, Monero, Zcash e tante altre. Hanno allargato la base di investitori. Sono viste con interesse da giganti come Microsoft e JPMorgan. E, secondo Coinmarketcap, il sito che ne segue l’andamento, hanno un valore complessivo di mercato sui 120 miliardi di dollari: cioè più di sei volte quello della capitalizzazione di borsa di Fiat Chrysler. Negli ultimi giorni i Bitcoin in circolazione hanno superato l’equivalente di 55 miliardi di dollari, gli Ethereum, secondi, i 25 miliardi. I cryptos sono in pratica monete virtuali, alternative rispetto a quelle emesse dai governi, il cui valore viene stabilito attraverso scambi in tempo reale su network decentralizzati, ma senza alcun controllo pubblico. Versando soldi “veri”, gli investitori ricevono per via elettronica l’ammontare di valuta digitale secondo il prezzo di mercato di quel momento. Ma a parte la complessità di operazioni del genere per chi non è pratico con l’informatica, le criptovalute hanno oscillazioni di prezzo spesso violente. All’inizio di agosto il Bitcoin Cash, nato da una costola di Bitcoin, dopo polemiche, furti e scandali che hanno accompagnato il gruppo originario, ha perso la metà del valore in poche ore, per poi quadruplicarlo all’indomani. Ripple è passata da un solo centesimo a fine marzo, a 40 centesimi dopo due mesi. «Non c’è dubbio: è un Far West», confessa Ron Ginn, un trentacinquenne imprenditore del web della Florida, che ha venduto tutti i suoi investimenti azionari e si è concentrato sulle valute digitali. Sì, perché è proprio questo – secondo gli “antropologi della finanza” – il vero segreto del successo dei cryptos: i Millennials, che non possono più contare su una rete di protezione del sistema pensionistico, che vedono con sospetto il mercato azionario e che sono inevitabilmente influenzati dal populismo anti-global, sono invece pronti ad accettare la sfida delle valute digitali. Il risultato? Da un lato le criptovalute sono sempre più accettate come strumento “normale” di investimento (o speculazione), dall’altro questa “euforia irrazionale” sta creando una immensa bolla, oltre a nuove inquietudini. La Sec, ad esempio, ha appena deciso di frenare le Initial coin offering, cioè i collocamenti di valuta digitale per il finanziamento delle startup. Sono diventati molto diffusi (nei primi mesi del 2017 sono serviti a raccogliere quasi 2 miliardi di dollari), ma l’assenza di qualsiasi controllo ha suggerito all’authority di Washington di imporre le stesse regole stringenti in vigore per le offerte di titoli azionari. Sui pericoli della “bolla cryptos”, invece, Wall Street è divisa: c’è chi pensa che non possa che esplodere, magari in coincidenza con un tonfo dei mercati. Ma molti ritengono anche che le criptovalute, magari assottigliate nel numero, diventeranno uno strumento permanente e che le preoccupazioni di oggi non siano molto diverse dei primi passi di Google o Amazon.