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 2017  agosto 09 Mercoledì calendario

Guido Piovene Montaigne di casa nostra

«Comincio questo viaggio senza preamboli. Sono curioso dell’Italia, degli italiani e di me stesso, che cosa ne uscirà, non saprei anticiparlo». Ah, l’Italia degli Anni Cinquanta, umile e imprevedibile, provinciale e laboriosa, avviata verso un «periodo di benessere medio», dall’estremo nord fino a Pantelleria, provincia per provincia, protagonista assoluta del Viaggio in Italia di Guido Piovene che torna a circolare (Bompiani, 890 pagine, 20 euro). A Trieste da pochi mesi ritornata in Italia c’e ancora il poeta Saba «naso ricurvo, pelle di pergamena, l’occhio chiaro brillante, vecchio e insieme infantile». E il suo dramma è «d’essere nato di temperamento idillico in una città tragica». A Milano, nel «sancta sanctorum» della Commerciale, c’è il banchiere Mattioli circondato da gente che si chiama Solmi, il poeta, e Gerbi, l’economista. Per lui «addottrinato, meridionale e arguto» gli affari devono essere «scritti con coraggio e sincerità, non vergati dalla presunzione, dall’egoismo, dall’avarizia, dal timore delle forze storiche». A Firenze, insieme a Salvemini, c’è il novantenne Berenson, «ultimo testimone di una civiltà quasi sparita» che sta ultimando l’immenso catalogo di tutte le opere d’arte italiane. E nel Sud incontri dappertutto una schiera d’intellettuali lucidi, e nevrastenici «perché non sono riusciti a usare la loro intelligenza e la loro preparazione».
IL MODELLO È MONTAIGNE
In quell’Italia dove quasi in ogni contrada del Mezzogiorno c’è una Madonnina che s’è messa a lacrimare e dove si è appena ultimata la riforma agraria, Piovene si sposta per conto della Rai per una quarantina di mesi, fino al 1956. È un viaggiatore di antico stampo, il modello (dichiarato) è Montaigne: storia di città, ma anche storia di varia umanità, storia di costumi, di abitudini. L’essenziale non è lo spunto polemico, la questioncella giornalistica, ma una sorta di sguardo antropologico che fissa grandezze e miserie. Ma sempre nel «segno del concreto», non lasciandosi fuorviare per «pretese caratteristiche perenni dell’Italia e dei suoi abitanti». Piovene si appassiona a freddo, lucidamente dei suoi argomenti, non ha bisogno dell’effetto o dell’effettaccio, rifiuta di immergersi nel colore e nel folklore del Sud che quegli stessi anni, produce molti accaldati testimoni.
Scoprendo l’Italia come, in una precedente inchiesta, aveva scoperto l’America, l’infuriato Piovene dosa la sua passione, la distribuisce equamente. Di città piccole o grandi, che vivono austeramente arroccate nel proprio blasone o che dimostrano una vitalità dirompente da Far West, racconta le storie minime, i personaggi, i miti e le leggende. Il suo racconto ha il passo lungo di chi sa che comunque bisogna comporre un quadro, con le luci e con le ombre e nel quadro i particolari si disseminano.
LE IMITAZIONI
Ed è stato fortemente e inutilmente imitato questo Viaggio in Italia, prodotto di una civiltà letteraria sul punto di scomparire. Dopo, chi lo imita, scivola nel giornalismo più specializzato di una famosa inchiesta fatta dai migliori inviati del Corriere negli Anni Sessanta. Oppure, quasi trent’anni dopo, Ceronetti versa lacrime amare e irritazione sugli stessi luoghi in cui Piovene dispensa il suo illuministico talento.
Piovene racconta in un ritmo e un tempo di narrazione che non è più il nostro. Il viaggio sembra risentire di quelle arcate dello stile, di quel bisogno di comunicazione per nulla riduttivo che è stato della migliore radio in quegli anni. Anche se accenna al fenomeno di un’Italia tutta ferma davanti al fenomeno di Lascia o raddoppia?, la scrittura di Piovene è estranea a quella velocizzazione che tutto il giornalismo ha in quegli anni, proprio di fronte al nuovo mezzo televisivo.
Sono racconti animati di storia e cultura i suoi, spinti da una curiosità che lo porta a interessarsi degli orafi sardi o di certe pratiche culinarie vissute con gioia accanto ai protagonisti. In quell’Italia che si dibatte «tra le spire di un’età ingrata, di una perenne adolescenza», un Paese ancora per molti aspetti rurali e con una società «la più mobile, fluida, distruttrice d’Europa», lo scrittore può piazzare i bersagli polemici. Ad esempio il frenetico vitalismo politico che cova i mali che poi abbiamo tutti penato. Ad esempio: l’amplesso continuo, «il marxismo che occhieggia al cattolicesimo e viceversa» che blocca le forze legate a un’autentica trasformazione politica e sociale. Ad esempio: la scarsità di prestigio «dell’intelligenza italiana» e la modestia della sua «capacità di irradiazione». Gli intellettuali di Piovene sono irrimediabilmente piccoli borghesi, coltivano stolti sogni di gloria, si addensano in spazi dove domina la «socievolezza invidiosa», dove l’accaparramento reciproco non «è mosso dall’amore», lo stringersi l’uno all’altro è «per denigrarsi l’uno con l’altro», l’ansietà è di «fuggire e insieme di sorvegliarsi perché nessuno si sottragga alla sorte».
LE CONTRADDIZIONI
Eppure, ovunque domina l’impressione che il livello economico sia migliorato. E determina anche il contrasto «tra le esigenze della produttività la quale aumenta la ricchezza, e della giustizia sociale, che vuole ripartirla in maniera più equa». L’Italia degli anni Cinquanta ha sotto pelle la potenza anche distruttiva o negativa che esploderà più tardi. È un’Italia che non riesce a essere moderna fino in fondo e improvvisamente diventa «il Paese d’Europa più duro da vivere». E lo scrittore non si è mai cullato in idilli né in visioni d’apocalisse: è stato fedele al suo Tour, alle sorprese, alle conferme o alle smentite raccolte. Per queste ragioni il Viaggio in Italia riletto oggi non è una curiosità di tempi ormai preistorici. Ma molto si interroga, partendo da un lontano quasi siderale, sui nostri attuali malesseri, la buona letteratura ha sempre qualche potere profetico, sa guardare indietro per guardare avanti. E molto ci aiuta a comprendere meglio quel carattere nazionale che resiste a mode e rovesci della storia, in una prospettiva meno soffocante con cui ogni giorno quei vizi, quei nodi, quei guai dell’antropologia del Belpaese sono ancora in bella evidenza sulle pagine dei giornali, nelle tv, nel fluire della Rete.