la Repubblica, 8 agosto 2017
Quel fardello da venticinque miliardi spaventa chi vuole le tlc italiane
Tutti (o quasi) la vogliono come fidanzata. Nessuno però vuole sposarla in comunione dei beni. Il motivo? Telecom Italia – ormai da quasi una ventina d’anni – porta in dote ai promessi sposi un fardello di debiti da qualche decina di miliardi. E da Tronchetti ai Benetton, passando per Telefónica e arrivando ora a Vivendi, tutti i pretendenti all’ex-monopolio delle tlc si sono fermati a un passo dai fiori d’arancio. Obiettivo: evitare di dover farsi carico dell’esposizione del gruppo. L’ultimo capitolo della telenovela, cronaca di queste ore, è la richiesta di spiegazioni della Consob a Vincent Bolloré sulla natura del rapporto tra Vivendi e Telecom: la società italiana è una controllata o no? Un affondo che a Parigi ha acceso l’allarme rosso, con tanto di (scontata) risposta negativa – si vedrà cosa ne pensa l’authority – per evitare di contabilizzare nei bilanci i 25,7 miliardi di indebitamento netto della società italiana. Zavorra che manderebbe a picco rating e conti di Vivendi. La guerra legale tra le parti è appena iniziata e – almeno per Telecom Italia e la Consob – ha il sapore di un déjà vu andato in replica almeno tre volte sulle cronache finanziarie italiane. Fino al 1998, in effetti, il gigante delle telecomunicazioni tricolori, fresco di privatizzazione e controllato da un “nocciolino duro” con in portafoglio solo il 6% del capitale, era una delle prede più appetibili e ambite nel risiko delle tlc europee: la tecnologia dell’azienda era all’avanguardia, in bilancio c’erano “solo” 8 miliardi di euro di debiti e il gruppo svettava al 124esimo posto della classifica di Fortune delle maggiori imprese mondiali. Poi è arrivata la scalata a debito di Olivetti, su Telecom sono stati scaricati i costi dell’acquisizione, come di quelle successive (l’esposizione è salita a 18 miliardi nel 2000, 32 nel 2003, 39 nel 2005, prima di iniziare a scendere), e tutti i compratori che si sono succeduti da allora hanno incrociato le armi con le autorità per evitare di intestarsi la paternità di questo fardello. La Consob di Luigi Spaventa chiese nel 2001 a Marco Tronchetti Provera e alla Pirelli di consolidare Telecom in bilancio, debiti compresi. Ma lo stop del Tar e alcune acrobazie legali per ridurre l’influenza della Bicocca nel cda dell’ex-monopolio consentirono nel 2003 di disinnescare la bomba ad orologeria. Il tema si ripropose nel 2006 (con finale identico), un anno più tardi quando l’avvento di Telco sembrava portare in capo a Telefónica il controllo di Telecom e soprattutto a fine 2013, quando gli spagnoli erano pronti a fare il grande passo e a portare all’altare per una fusione Telecom Italia. Anche in quel caso, però, a guastare la festa – oltre ai dubbi dell’antitrust brasiliano – è stato il nodo dei debiti. Telefónica già gravata per conto suo di 50 miliardi di impegni – non se l’è sentita di farsi carico pure dei 30 di Telecom Italia. E a un passo dalle nozze ha fatto dietrofront, passando il cerino a Vivendi. La storia si ripete. Unica differenza: Telecom, schiacciata dai suoi stessi debiti, è scivolata alla 404esima posizione della classifica di Fortune.