Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  agosto 08 Martedì calendario

Sfida agli Usa, Pyongyang alza il tiro ma arrivano i primi segnali di svolta

L’America «pagherà centomila volte di più l’odioso crimine» delle sanzioni che l’ambasciatrice Usa all’Onu Nikki Hailey definisce le «più dure di sempre» e approvate 15 a 0 grazie a Cina e Russia che Donald Trump finalmente ringrazia dopo le accuse. Kim Jong-un torna a fare la voce grossa ma la schermaglia a parole è solo l’inizio. La guerra atomica alla Corea del Nord che minaccia l’apocalisse in realtà è già decisa è ha una data: marzo 2019. La simulazione dell’Economist è da incubo: 300mila morti solo al Sud, un milione di persone in fuga da Seul, gli americani che seppelliscono il Nord con la madre di tutte le bombe nucleari, la B61-12. Manca solo il conteggio finale. Non solo perché è impossibile calcolare la devastazione oltre il 38esimo parallelo: ma quante saranno le vittime provocate in Cina dalle nubi tossiche che si spingono sulle metropoli dello Stato più popoloso della terra? A questo punto, mentre le Borse mondo crollano e Trump twitta imperterrito che l’America “is safe again”, di nuovo salva, la grande incognita è il presidente Xi Jinping: come risponderà Pechino all’apocalisse alle porte? IL FUNGO NUCLEARE La fantacronaca non è un gioco da spiaggia di agosto. Mentre il giornale licenzia la copertina con il fungo nucleare bifronte, da una parte Trump e dall’altra Kim, il ministro degli esteri cinese, Wang Li, avverte che la situazione «è a un punto critico, ci stiamo avvicinando a un punto di svolta per prendere decisioni che facciano ritornare al dialogo». Che evidentemente non c’è. Per questo si rivolge a Ri Yong-ho, il ministro degli esteri di Kim incrociato in un raro incontro al vertice di Manila dell’Asean, l’alleanza asiatica, e incalza: Pyongyang deve «mantenere la calma» dopo le decisioni dell’Onu, «evitando di condurre un altro testi missilistico o nucleare». Ma contro la risoluzione 2371 che dovrebbe tagliare di un terzo l’export Kim risponde picche: «Se credono di frenarci con le sanzioni è un’illusione. Non sposteremo un piede dal cammino verso il rafforzamento nucleare fintato che gli Usa risponderanno con la loro politica ostile e il ricatto atomico». E peccato che il segretario di Stato Rex Tillerson, malgrado il consigliere per la sicurezza HR Mc-Master giuri che «un attacco preventivo non è escluso», assicuri che gli Usa «non vogliono un cambio di regime», sono pronti al dialogo e «il miglior segnale che la Corea del Nord può mandare» è lo stop ai missili. Kim, che per risposta manda invece il numero due Kim Yong Nam in missione per dieci giorni nell’Iran che con il nucleare ha saputo giocarci, non lo farà mai. Per questo i cinesi, ora spalleggiati dai russi, insistono: la strada è quella della «doppia sospensione», Kim fermi i test e americani e coreani del Sud fermino le esercitazioni congiunte, a quel punto ci si risiede tutti al tavolo a sei tra Corea del Nord e del Sud, Usa, Cina, Russia e Giappone. Dal Quotidiano del Popolo alla sua versione inglese Global Times le voci del governo si permettono anche di punzecchiare gli yankees in favore di Kim: la smetta Washington con questa «arroganza morale verso la Corea del Nord, è un ragionamento malato pensare che la colpa della crisi» stia solo lì. “MINACCIA GRAVE” E anche Seul si adegui: «La sicurezza sudcoreana non può essere fondata mettendo a rischio la sicurezza cinese». Traduzione: fermate il sistema antimissili Thaad che gli Usa hanno piazzato al Sud e Pechino ritiene una minaccia. Ma figuriamoci: altro che doppia sospensione. Trump chiama il presidente sudcoreano Moon Jae-in e gli ricorda, come se ne avesse bisogno, che la minaccia del Nord «è grave e crescente». E nello scenario dell’Economist è proprio durante Foal Eagle, l’annuale esercitazione condotta da 20mila americani e 300mila coreani del Sud che potrebbe scoppiare la guerra. “PUÒ ACCADERE” “Può accadere” titola il settimanale facendo il verso a quel “Non accadrà!” che Trump twittò a gennaio in risposta alla minaccia di Kim di far volare un missile capace di colpire l’America. Da allora i coreani hanno mostrato nei due test di luglio di aver mantenuto la promessa: l’Hwasong-14 è in grado di volare oltre 10mila chilometri fino a New York. Per montarci la bomba manca solo l’ultimo test atomico, il sesto, che Pyongyang potrebbe condurre da un momento all’altro. E come reagirà allora Trump? A proposito. Proprio in queste ore i cinesi hanno confermato la visita del presidente americano «entro l’anno». Ed è comprensibile che sul secondo si stagli ancora l’ombra del primo, quando Xi Jinping fu accolto a Mar-a-Lago con il lancio di missili Usa sulla Siria di Bashar Al Assad, che era un segnale anche per la Corea del Nord. Così non solo all’Economist, pure nella Città Proibita c’è adesso chi si esercita con la fantacronaca. Tipo: con che quale altra sorpresa, quale altro lancio l’imprevedibile The Donald si ripresenterà, stavolta, all’amico ritrovato?