La Stampa, 8 agosto 2017
Elena Cotta torna a Venezia: «Senza recitare non vivo. È la mia unica possibilità di essere egocentrica»
Senza esitazioni, nel modo lucido e diretto con cui dà l’impressione di affrontare tutto, la vita intera, Elena Cotta, attrice di lungo corso, teatrale, cinematografica e televisiva, dice che il ruolo interpretato in Dove cadono le ombre è «il più difficile che mi sia mai capitato».
Nel film, diretto da Valentina Pedicini, in programma alle Giornate degli autori di Venezia 2017, Cotta è Gertrud, anziana signora con un passato oscuro e un carattere incoerente, diviso tra «spietatezza e umanità». Un personaggio da «salti mortali», ideale per un’attrice che alla Mostra, nel 2013, ha vinto la Coppa Volpi grazie all’interpretazione di Samira in Via Castellana Bandiera di Emma Dante: «Tornare al Lido è emozionante, quando ebbi la notizia della vittoria rimasi per due minuti senza parole». Ma se Samira era una combattente irriducibile, capace di incenerire con uno sguardo, Gertrud è il triste fantasma dell’incubo che fu, perfida allora, infelice adesso: «Una persona contraddittoria, che crede in un’ideologia, contrasta se stessa e finisce per diventare una donna sperduta».
La storia di Dove cadono le ombre (prodotto da Fandango con Rai Cinema, nelle sale il 6 settembre) è ispirata a quella, tragica e reale, del «piccolo genocidio» operato in Svizzera, tra il ’26 e l’86, ai danni delle famiglie jenisch, terza etnia nomade europea, dopo i rom e i sinti. Sottratti alle famiglie dall’associazione Pro Juventute con l’intento di debellare il nomadismo, duemila bambini furono rinchiusi in ospedali psichiatrici, orfanotrofi e prigioni e sottoposti a violente sperimentazioni scientifiche.
Gertrud è il reperto inquietante di questa vicenda a lungo ignorata: «Io stessa non ne sapevo nulla. E invece è una storia andata avanti per quasi mezzo secolo. Molti di quei piccoli vennero poi adottati, lo scopo era cambiare la loro personalità, inserirli nella società svizzera. Gertrud torna nell’ospizio per ritrovare la bambina con cui, a suo tempo, aveva vissuto un rapporto di odio amore».
La lavorazione, sia per il carico emotivo che per le condizioni ambientali, non è stata facile, ma Cotta non se ne lamenta: «Fa parte della nostra professione accettare un ruolo e fare quello che viene richiesto. E poi la banalità non serve a niente, i risultati migliori nascono dal massimo impegno». Anche per questo, racconta, le è capitato di rifiutare una commedia: «Ho letto il copione e ho detto di no perché non sopporto l’andazzo delle parolacce continue. Dovevo fare una vecchia pazza innamorata del suo pupazzo erotico, ma il punto non era questo. Se l’umorismo si distacca da una misura e da un’eleganza io soffro, lo scotto da pagare è troppo alto, e allora perché dovrei?».
Il nostro cinema, osserva Cotta, ha maturato questo vizio della «risata malsana, siamo rimasti ai “fescennini”». D’altra parte, le proposte d’altro genere non mancano. Elena Cotta sarà nel cast del film di Sorrentino Loro: «Come tutti gli altri ho firmato un patto di discrezione che mi impedisce di aggiungere altro. Tradirlo sarebbe disonorevole».
Protagonista di famosi sceneggiati tv, nell’epoca in cui venivano trasmessi in diretta, abituata, da quando frequentava l’Accademia d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, alla disciplina del teatro, Elena Cotta divide, da oltre 60 anni, vita e lavoro con il marito attore Carlo Alighiero, sposato nel ’52 e ri-sposato cinque anni fa: «So che siamo stati fortunati, ci è andata bene come a una lotteria, e poi, facendo lo stesso mestiere, quindi orari e cadenze uguali, si crea un legame che con il tempo diventa fortissimo».
Anche perché nutrito da una passione comune: «Recitare è da sempre fondamentale nella mia vita: è lo spazio di fantasia dove liberare la componente egocentrica e vanitosa. E dire che vengo da una famiglia che con tutto ciò non c’entra niente. Madre casalinga, padre direttore alla Snia Viscosa, io studente del Parini di Milano. Niente di più lontano dal teatro».