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 2017  agosto 08 Martedì calendario

Bolt batte Lewis e Owens: è il giamaicano il re dello sprint di ogni epoca

LONDRA Owens. Lewis. Bolt. Tre spari nel buio. L’atletica, dopo, non è più stata la stessa. Certi confronti sono affascinanti proprio in quanto impossibili, perché nessuno si sognerebbe mai di paragonare un nero dell’Alabama venuto al mondo insieme a Richard Nixon, la reincarnazione del vento che ha spazzato gli anni 80/90 e un Lampo cresciuto nelle piantagioni di velocità dalla Giamaica.
Archiviata l’era Bolt (sabato l’oro nella 4x100 chiuderà, dopo le polemiche per i 100 vinti da Gatlin, un decennio irripetibile), è arrivato il momento di chiedersi se – in assoluto – valgano più quattro ori sbandierati sotto il naso di Hitler in un’Olimpiade (Berlino 1936) che più che alle pagine di sport appartiene a quelle di storia, nove correndo come un indemoniato e saltando meglio di una cavalletta o otto (maledetto Carter…) facendo, al meglio, un mestiere solo: lo sprint.
È chiaro che dal Jesse Owens dei primordi, capace di realizzare in 45 minuti tre record del mondo ed eguagliarne un quarto (lungo in 8,13, 220 yards piane in 20”3 e 220 yards a ostacoli in 22”6, 100 yards 9”4: era il 25 maggio 1935) e di conquistare in una settimana quattro titoli nella Germania nazista, all’Usain Bolt di Londra 2017, appannato senza appannare la leggenda, è cambiato tutto. Mondo, materiali, piste, metodi di allenamento, per limitarci al minimo sindacale. Ma il tema è appassionante, accademia alla media di 37,578 km orari, la velocità (con punta vicino ai 45 km/h) toccata da Bolt nel primato mondiale nei 100 (Berlino, 16 agosto 2009), piazzando l’asticella in paradiso.
L’eroe di Roma ’60, Livio Berruti, sceglie il giamaicano. «Owens è l’antenato senza il quale nessuno di noi sarebbe esistito. Lewis la prima vera star. Bolt un superdotato meno duttile dei predecessori ma con una struttura morfologica unica – spiega il ragazzino torinese 78enne, oro nei 200 cinquantasette anni fa —. Io lo preferisco per l’atteggiamento scanzonato e goliardico, senza mai essere irrispettoso. Anch’io intendevo l’atletica con quella leggerezza. È il messaggio più bello che si possa mandare ai giovani». Al di là degli errori del Lampo in questo suo ultimo Mondiale («Da principiante: si è preparato in maniera superficiale, nei 100 era una molla scarica»), Bolt è la scelta anche di Stefano Tilli, ex sprinter azzurro. «Dimentichiamoci i successi e le medaglie. Mi limito ai riscontri cronometrici: tra il miglior Bolt e il miglior Lewis ci sono due metri nei 100 e quattro e mezzo nei 200. Usain è stato muscolarmente fenomenale: i suoi primati, secondo me, dureranno almeno cinquant’anni…».
Salvino Tortu, ex velocista, è il papà e l’allenatore di Filippo, il bambino prodigio dell’atletica italiana che ieri sera, a 19 anni, ha esordito nel Mondiale. Tortu vota Lewis: «Bolt è forza allo stato brado ma a mio figlio ho mostrato l’americano come esempio massimo di stile di corsa. Oltre alla versatilità, che Usain non ha, Carl ha una tecnica superiore. Il suo lanciato era straordinario. Il numero di medaglie non mi impressiona: il modello è Lewis. Owens è stato fenomenale ma appartiene a un’altra epoca, in cui lo sport non era accessibile a tutti». Tortu ne fa, anche, una questione di preparazione: «Bolt ha allenato solo e sempre lo sprint. Lewis, tra velocità e lungo, ha dovuto affrontare lavori frammentati e partecipare a doppi trials. Saltare è roba tosta, traumatica: piede e gamba di stacco sono più sollecitati, la forza da imprimere nella corsa è diversa. Tutto più difficile, insomma». E poi c’è Eddy Ottoz, che dopo aver saltato (e bene) gli ostacoli ha allenato gli sprinter italiani. «Io dico Owens: pioniere completo, in un’epoca in cui, senza allenamento, si correva di pura classe. Per me valgono più i suoi quattro ori in un’Olimpiade che gli otto in tre di Bolt. Però il Bob Hayes di Tokyo ’64, come sprinter puro, li batteva tutti…».
To be continued.