Libero, 8 agosto 2017
Buone vacanze nel Califfato delle Maldive
Dici Maldive e pensi al paradiso, all’acqua cristallina e alle barriere coralline, alla sabbia chiarissima e ai tramonti mozzafiato, pensi agli atolli dove troneggiano resort di lusso e relax è la parola più importante. Ma l’arcipelago al largo della costa indiana, preso d’assalto ogni anno da centinaia di migliaia di turisti occidentali, ha anche un altro volto, molto più cupo e inquietante che sta progressivamente venendo a galla: è il volto del jihad, dell’estremismo islamico, che si sta sviluppando a ritmi spaventosi nella capitale maldiviana, Malé, lì dove i turisti atterrano, prima di essere trasportati a bordo di una nave o di un idrovolante nei loro piccoli paradisi a cinque stelle, lontano dallo stress lavorativo e dalla fatica dell’altro lato del mondo. Il settimanale francese Le Point ha raccontato nel suo ultimo numero «l’inferno delle Maldive», Paese non arabo che ha il più alto numero di jihadisti pro capite al mondo. Su 380.000 abitanti, sono 200 i combattenti made in Maldive che dal 2014 hanno raggiunto l’esercito califfale in Iraq e in Siria. Come se in Francia, Paese che ha 67 milioni di abitanti ed è il principale serbatoio europeo di foreign fighters, fossero 44.000 persone a candidarsi al martirio in nome di Allah.
L’ATOLLO JIHADISTA
«Un arcipelago, due mondi», scrive la rivista parigina. Anche le Maldive hanno la loro Molenbeek: si chiama Himandhoo, l’atollo più islamizzato dell’arcipelago, dove lo sceicco Ibrahim Fareed aveva instaurato un piccolo califfato, smantellato soltanto grazie all’intervento dell’esercito maldiviano. Prima della nascita dell’Isis, negli anni Duemila, 50 estremisti islamici originari delle Maldive erano già andati a combattere in Afghanistan accanto ai talebani. Oggi, soltanto l’atollo Gaafu Alifu ha sfornato 12 jihadisti, tutti membri della stessa famiglia. Uno di loro è in possesso di una licenza di volo ottenuta negli Stati Uniti, motivo per cui è finito sotto la lente dei servizi segreti americani, che temono un altro 11 settembre. Come raccontato dal Point, ci sono due pagine Facebook che aggiornano quotidianamente il «pantheon dei martiri maldiviani», Bilad Al Sham Media e Haqqu, le quali raccolgono migliaia e migliaia di like. Nella capitale, 200.000 abitanti, accanto alle giovani coppie vestite all’occidentale sfilano ragazze in burqa, e oltre gli appartamenti che costano come a Londra, ci sono interi quartieri devastati dalla povertà, dalla criminalità e soprattutto dalla droga. «I più giovani cominciano verso gli 11-12 anni con la cola water, un mix di soda e di acqua di Colonia. Poi passano all’eroina. Ora si trovano anche la metanfetamina e la cocaina», spiega Ahmed Naazim dell’Ong Journey. Un rapporto delle Nazioni unite ha evidenziato che il 48% dei giovani maldiviani che hanno tra i 15 e i 19 anni sono consumatori regolari di droghe. Come raccontato dal settimanale francese, la grande maggioranza dei candidati al jihad provenienti da Malé sono degli ex drogati ed ex membri delle gang locali. «Cercano la redenzione, convinti che il jihad li salverà dalla droga, dalla violenza e dal nulla. La maggior parte delle gang è ormai radicalizzata. Gli imam salafiti si sono infiltrati, e ora si chiamano le salafgang», racconta al Point Shahindha Ismail dell’associazione Democracy Network. Il problema principale è che «non sono più soltanto i ragazzini perduti che si radicalizzano, anche i capi sono favorevoli a Daesh», spiega un giornalista locale, Hassan. La radicalizzazione non potrebbe avvenire senza le prediche radicali degli sceicchi locali, vere e proprie star per i giovani islamici maldiviani. Come lo sceicco Adam Shameem, considerato come «la vedette del jihad maldiviano», che ha quasi 30.000 like sulla pagina Facebook, il carisma di un Che Guevara in versione islamica e le rotondità di un attore di Bollywood. Dopo gli studi e alcuni «viaggi culturali» in Siria, ora arringa i giovani inneggiando al jihad e organizza dei “picnic” nelle isole deserte, trasformate in campi di addestramento.
I PREDICATORI SAUDITI
Nelle Maldive, dal 1997, l’islam è diventato religione di Stato. Nel 2004, tramite delle Ong saudite, sono arrivati i predicatori radicali che hanno diffuso l’estremismo negli atolli. Dal 2013, con l’arrivo al potere di Abdulla Yameen, il fondamentalismo islamico ha trovato il suo principale sponsor. Restano le parole della deputata dell’opposizione, Eva Abdulla, minacciata di morte per aver messo una sua foto in bikini su Facebook: «Temo che le Maldive siano destinate a diventare un califfato».