Il Sole 24 Ore, 8 agosto 2017
Ancora più debole il Mercosur senza Venezuela
Un passaporto comune per i cittadini dei Paesi aderenti e la formazione di un blocco commerciale di rilievo, capace di dialogare con i Grandi. Erano questi gli obiettivi che alcune nazioni sudamericane si erano prefisse con la fondazione del Mercosur (Mercato comune del sud). Correva il 1991. Oggi le speranze si sono rattrappite e le delusioni amplificate: il Venezuela, uno dei Paesi membri, è stato sospeso tre giorni fa e il peso di questa area commerciale è drasticamente calato.
Il Mercosur (Mercato comune del sud) è una unione doganale composta da Argentina, Brasile, Uruguay, Paraguay e Venezuela (con Bolivia e Cile membri associati), con 5 obiettivi predefiniti: accesso ai mercati, promozione commerciale, progressivo azzeramento dei dazi tra i Paesi soci, finanziamento di garanzie per le esportazioni, e accordi tributari. Grandi ambizioni, performance modesta. E pensare che proprio il prossimo anno, il 2018, era stato definito “cruciale” – dai ministri degli Esteri dei Paesi che lo compongono – per sancire una integrazione e proporsi come una Unione doganale davvero efficace. Invece la sospensione del Venezuela, travolto da una vera e propria crisi istituzionale e da inaccettabile carenza di prodotti alimentari, ne mostra tutti i limiti attuali e prospettici.
Alfredo Somoza, presidente di Icei, (Istituto di cooperazione economica internazionale) spiega al Sole-24Ore che «il Mercosur, si è ispirato alla Unione europea, ed è sorto con un mutuo riconoscimento di Argentina e Brasile, i due giganti del Sud America: Buenos Aires riconosceva il primato industriale a San Paolo, e San Paolo quello di primato agroindustriale a Buenos Aires. Il Venezuela è entrato più tardi, spinto dai progetti faraonici dell’ex presidente venezuelano Hugo Chavez: un gasdotto da Caracas a Buenos Aires, collegamenti bi-oceanici, infrastrutture continentali».
I flussi commerciali di maggior rilievo, nel Mercosur, riguardano Argentina e Brasile, per le dimensioni delle rispettive economie. Uruguay e Paraguay, economie piccole, sono Paesi “accessori” negli accordi commerciali; tuttavia i soci più forti, Brasile e Argentina, sono stati spesso caratterizzati da alta instabilità e gli interessi nazionali hanno soverchiato quelli nazionali.
L’Argentina, sprofondata in una devastante recessione, nel 2001, si è orientata verso una politica economica mirata a risollevare il Paese, con incentivi alla produzione nazionale, del “made in Argentina”, capace di ridare fiato all’industria. All’autore di questo disegno, l’ex presidente Nestor Kirchner, va riconosciuta la fase emergenziale in cui si è trovato a guidare il Paese, e quindi la necessità primaria di riemergere dalla lunga stagione di ancoraggio al dollaro, con il tasso di cambio 1 a 1 con il peso argentino.
Il Brasile di Lula, d’altra parte, ha scelto politiche economiche di segno espansivo e orientate a grandi aperture. Scelte opposte a quelle argentine ma con l’identico effetto di depotenziare il Mercosur. Il Brasile della lunga galoppata economica (tra il 2000 e il 2009) ha puntato sui Brics, il Medio Oriente, l’Africa. Evitando di costringersi in un ambito troppo ristretto, quale è il Mercosur.
E oggi, qual è il futuro del Mercosur ? Non vi sono certezze ma nei prossimi anni continueranno accelerazioni e decelerazioni, esattamente come accade all’Europa dove le polemiche per le scelte di politica economica e sociale di Francia e Germania prevalgono sugli interessi, la forza e la stabilità dell’Unione europea. Con un’incognita aggiuntiva, la politica commerciale di Donald Trump, protezionistica e foriera di nuovi equilibri e alleanze sulla scena mondiale.
Intanto l’accordo Ue-Mercosur che in maggio pareva fosse in dirittura d’arrivo si è arenato: la Ue pretende aperture settoriali dagli altri tenendo chiusi i propri.