Avvenire, 8 agosto 2017
Fame e mortalità infantile: il volto tenuto nascosto della Corea del Nord
Un Giano, il cui doppio volto è difficilmente afferrabile. Da una parte un Paese che “gioca” una partita rischiosissima sul filo del rasoio con gli Usa, a colpi di minacce missilistiche: sfida che fagocita il 22 per cento del Pil nazionale, qualcosa come 10 miliardi di dollari in spese militari, secondo la stima del Global Fire Power. Dall’altro, un Paese letteralmente affamato, con il 40 per cento della popolazione che vive al di sotto della soglia di povertà (con stipendi che non sfondano quota 2-3 dollari al mese), un terzo dei bambini malnutrito, la mortalità infantile a livelli spaventosi (33 per cento). Ma le contraddizioni non si fermano qui. Perché a dispetto delle sanzioni economiche che la rallentano, l’economia nordcoreana sta conoscendo una stagione di (inaspettata) prosperità.
Nel 2016 il tasso di crescita è stato pari a 3,9 per cento, la migliore performance degli ultimi venti anni. Il commercio di Pyongyang, sempre nel 2016, è lievitato del 4,6%. Come segnalato dal New York Times, la capitale sta conoscendo un boom edilizio, le automobili scorrono lungo le arterie della città, i telefoni non sono più così rari. Ma come sopravvive quello che è considerato uno dei regimi più corrotti al mondo – al 174esimo posto su 176 Paesi censiti, secondo la stima del Transparency international? Da dove trae quelle risorse che consentono al Giano di sfidare gli Usa e, al tempo stesso, di irritare il suo vero “protettore”, vale a dire la Cina? Pechino, appunto: da sola rappresenta l’80 per cento del commercio della Corea del Nord. I soldi che in gran parte Pyongyang destina al suo programma missilistico arrivano, dunque, dai milioni di tonnellate di carbone che il regime vende all’alleato, “voce” che rappresenta un terzo delle esportazioni ufficiali nel 2015. Ma non basta: come scrive CnnMoney, ci sono almeno altre due gambe su cui regge l’economia nordcoreana: le “esportazioni” forzate di lavoratori all’estero e gli attacchi finanziari condotti da agguerrite squadre hacker che garantiscono un flusso costante di entrate. E, quindi, di missili.