Libero, 5 agosto 2017
Più fa caldo e più guadagniamo. Siamo ricchi grazie al ghiaccio
È la storia dell’estate: c’è troppo caldo? Produco ghiaccio. E divento ricco. Facile a dirsi... Non ci credevano forse nemmeno i sei soci che due anni fa, fra le province di Treviso, Padova e Venezia decisero di commercializzare acqua ghiacciata ai locali, fondando una joint-venture chiamata Premium Italia. Ogni potenziale cliente che incontravano si metteva a ridere: «Voi siete pazzi. Il ghiaccio me lo produco io. Pagare il ghiaccio... ma dai...». Estate 2017: la fabbrica aperta due settimane fa a Quarto d’Altino, in provincia di Venezia, non riesce a star dietro agli ordini. Dallo stabilimento possono uscire 33mila chilogrammi di ghiaccio al giorno. Ebbene: a giugno e a luglio la produzione è arrivata a quota 330mila kg. Qualcos’altro da aggiungere? Un altro miracolo del Nordest, viene subito da dire. In effetti tre dei sei soci fondatori sono veneti. In realtà l’idea e la voglia di testare il mercato è partita dagli altri tre soci, tutti di Alicante. Spagna. Perchè nella penisola iberica il mercato del «hielo» è florido: ci sono 400 aziende che producono e vendono cubetti. All’inizio infatti la Premium Italia importava e commercializzava acqua solidificata. La domanda però cresceva, fino appunto al salto dimensionale, che ha portato i sei imprenditori ad aprire uno stabilimento che distribuisce «Ghiaccio facile» in tutta Italia, ma specialmente al Nord. Il prezzo? Due euro per due chilogrammi, che è la taglia minima. In pratica un euro al chilogrammo. In fabbrica ci sono macchinari specializzati che accolgono l’acqua dell’acquedotto, la purificano, la congelano e poi la trasformano in barre. Anche se c’è anche la versione “tritato”. Solo una persona però si occupa di controllare che tutto fili liscio. Un’altra invece è incaricata di riempire i bancali con il prodotto, mentre gli altri 13 dipendenti fanno il resto: amministrazione e consegne. Premium Italia è dotata di quattro furgoncini refrigerati a -20 gradi che viaggiano in lungo e in largo. Le tappe preferite sono comunque lungo il litorale veneziano: da Caorle a Jesolo. Dove si contano migliaia di locali, fra bar e discoteche. Sono loro i principali acquirenti di «Ghiaccio facile». Il nostro «piace perchè si scioglie più lentamente, non annacqua i cocktail, è più igienico e fa risparmiare tempo e denaro», ci racconta Josè Ramirez, uno dei tre soci fondatori spagnoli. L’ideale per un locale. «Se non hai il ghiaccio per un prosecco o per uno spritz, puoi anche chiudere...» In Italia esistevano già da otto anni altri due gruppi che producevano e commercializzavano ghiaccio, ma si sono sempre rivolti alla grande distribuzione, mentre «noi – spiega Ramirez – ci siamo concentrati subito sulla vendita diretta. E abbiamo avuto ragione». In due anni Premium Italia, da zero, è diventata la prima azienda italiana del ghiaccio. Si dirà: anche questo è un business stagionale, come quello dei gelati. Errore. Un altro socio, il padovano Massimo Servadio, ha raccontato al Corriere del Veneto che l’anno scorso ha venduto «a dicembre come ad agosto. Ovvio, la stagione fa la sua parte, ma è una questione di mercato. Da quando abbiamo cominciato abbiamo raddoppiato le vendite ogni anno». riproduzione riservata nnnNel primo semestre del 2017, Ima ha realizzato un utile di 38,1 milioni, in calo dell’8,6% rispetto ai 41,7 milioni dei primi sei mesi del 2016, che avevano beneficiato del provento finanziario derivante dall’esercizio anticipato dell’opzione Put & Call relativa al residuo 20% del business Dairy & Food. In crescita del 35,4% l’Ebitda, salito a 89,9 milioni di euro e i ricavi, aumentati del 14,4% a 654,6 milioni. Lo rende noto la società bolognese, attiva nella produzione di macchine automatiche, dopo l’approvazione da parte del cda dei risultati di gruppo al 30 giugno. Nel primo semestre 2017 gli ordini acquisiti ammontano a 764,4 milioni di euro, in aumento del 15,5% rispetto al corrispondente periodo dell’anno precedente, mentre il portafoglio ordini consolidato ha raggiunto gli 880,1 milioni di euro, evidenziando un incremento del 9,7% rispetto agli 802,4 milioni al 30 giugno 2016. nnnDire che i risultati delle maggiori banche italiane siano sfavillanti è forse esagerato, però ciascuna di esse ha messo a segno performance molto interessanti. Alcune, Unicredit e Bper, da stupire gli analisti e far sobbalzare i titoli intorno al 6%, le altre da confermare le attese e garantire il mantenimento della cedola promessa nell’assemblea di bilancio di aprile. Per Intesa, data l’entità di 0,20% su un valore medio del titolo sotto i 3 euro, c’è da leccarsi i baffi, a conferma di una salute di ferro. C’è anche Ubi che ritorna all’utile di periodo e conferma attese molto positive grazie anche all’ottimizzazione derivante dalla fusione con le tre banche, e soprattutto c’è un Banco Bpm in pieno spolvero, la cui crescita nella semestrale è eccellente in termini di utile, raccolta, diminuzione degli Npl, il tutto condito dall’accordo tra la controllata Aletti e Anima che fa nascere il primo polo del risparmio gestito, portando in cassa del duo milanese-veronese 700 milioni di euro, una conferma che la fusione funziona e che il potenziale di sviluppo è davvero eccellente. Alla luce di questi dati si dovrebbe tirare un sospiro di sollievo e rafforzare il crescente miglioramento della fiducia di famiglie e imprese. Una parziale verità che dovrà fare i conti nel prossimo biennio con una serie di variabili tutt’altro che facili da comprendere e affrontare. Mi riferisco alle scadenze elettorali della prossima primavera, alla sorte dello scudo protettore, il QE, ma mi riferisco anche alla persistente debolezza patrimoniale della maggioranza delle imprese italiane, il cui capitale di rischio continua ad essere sotto il 40% e quello di debito sopra il 60, il tutto condito dal continuo passaggio di mano di aziende a capitale italiano a quelle a capitale estero. Non vanno poi dimenticati i mastodontici ritardi di modernizzazione del nostro Paese, sia in ambito pubblico, che privato e la carenza di una formazione universitaria adeguata per il nostro tempo e non in grado di far sfociare una classe dirigente con preparazioni specifiche. Tutte queste variabili rischiano di produrre serie ricadute negative sul sistema creditizio, sia in termini di erogazione, che dei propri risultati di bilancio. Il nostro è un Paese che cresce circa la metà degli altri partner comunitari e che differenzia lo sviluppo in maniera eccessivamente marcata, tra nord, centro, sud e isole. Non è un caso che il costo del denaro in Lombardia sia meno della metà di quello del sud e che venga erogato il credito nella prima in percentuale tripla rispetto alla seconda. E non è neppure un caso che i pochi investimenti pubblici infrastrutturali in corso, siano tutti concentrati al nord. Ma a complicare ulteriormente tutto ci sarà la scadenza elettorale, che ad oggi ci porterebbe al voto con una legge diversa tra Camera e Senato, con il risultato di non poter produrre un vincitore in grado di guidare il Paese, con il rischio di dover ripetere la consultazione elettorale. Se non fosse per le variabili e le concomitanze che esse determinano, si potrebbe affermare che le banche italiane sono in dirittura di arrivo, invece c’è ritenere che nuove possibili tribolazioni possano riapparire all’orizzonte e, questa volta, non certo imputabili alle banche.