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 2017  agosto 05 Sabato calendario

Clemente Russo: «Le gaffe in tv non mi hanno steso e ora voglio tornare alle Olimpiadi»

Dallo specchietto retrovisore dondolano due piccoli guantoni da boxe, è come se prendessero a cazzotti l’aria. Tatanka è allegro, guida veloce il suo macchinone nero tra capannoni e pizzerie. «La serie di Gomorra non l’ho vista, le parodie invece sì, mi scompiscio dal ridere. Con Saviano ci mandiamo ancora messaggini, adesso lui sta a New York». Quando scende dall’auto, Clemente Russo comincia a camminare dondolando un poco. Ogni fibra del suo corpo trasmette energia e lucentezza. Nella postura, nella massa del collo e nell’incedere si muove una macchina prodigiosa e fragile perché ognuno lo è, anche una collina di muscoli da novantuno chili. «Sono stati tempi difficili, prima il furto alle Olimpiadi con il russo favorito vergognosamente dai giudici, poi quella cazzata al Grande Fratello, un’imboscata, avevo il microfono in mano e comunque ho chiesto scusa, Clemente non è quello lì». L’atrio di un modernissimo centro fitness si spalanca in un tripudio di acciaio e cristalli, Tatanka gli ha dato il nome, lavora qui insieme alla moglie Laura Maddaloni, la campionessa che insegna judo, sorella di Pino da Scampia che vinse l’oro a Sydney 2000. Una brioche integrale al miele per Clemente, un tavolino e la voglia di raccontarsi sotto la frase scritta sul muro: «Si danno e si prendono, questa è la boxe, questa è la vita». «Camminavo troppo sul morbido, ma adesso ho capito che voglio essere il primo pugile della storia mondiale a combattere in cinque Olimpiadi, voglio andare a Tokyo 2020 dove avrò 38 anni, io ormai dopo due argenti un’Olimpiade la preparo in quattro mesi, se il Coni è d’accordo sto qui: però ai Giochi chiederò le giuste garanzie». Gli occhi screziato/ azzurri di Laura si accendono: «Clemente è unico, nessuno affronta la gara come lui, una lucidità assoluta. Dal ring mi cerca sempre, e saprebbe trovarmi anche in mezzo a diecimila persone». Le vanterie davanti a quella telecamera, le frasi omofobe, la sciagurata chiacchiera con Bettarini. Tutte cose da prendere a cazzotti come un sacco. «Chi mi conosce sa che io non sono così, anche se ho un carattere impulsivo e sto sul cazzo per questo. Fino a un’ora prima di entrare in quella casa mi dicevo ma è giusto, ma sei proprio sicuro? Il fatto è che la tv mi piace proprio, ci sto da dieci anni e pure il cinema mi piace, io buco lo schermo. Ho sbagliato, però tanta gente giudica senza sapere. Prendono le cose e le persone a pezzetti, ma io vorrei dire: e tu che ne sai?». Il bar della palestra si riempie, arrivano Anna con la tigre tatuata e l’amico Vintage, «ehi, come butta?». Un altro caffè per il campione. C’è del ritmo nel combattimento che non finisce mai. «Ora telefoniamo al mio maestro Brillantino Domenico che ha 77 anni ed è stato da poco dimesso dall’ospedale, gli chiediamo se dopo ci apre la palestra». Cioè l’Excelsior di Marcianise, il sacro tempio. «Maestro state bene? Dunque ci vediamo alle 2? Per le chiavi potete provvedere gentilmente, resta cura vostra?» Le parole cadono come i secondi sul ring, seguendo un ordine accelerato. Ora Tatanka parla delle sue tre bimbe, «Rosy la più grande e le gemelline Jane e Janet che nacquero premature, io le chiamo ‘ a chiatta e ‘ a secca. Tre principesse e la quarta è Laura». Più tardi andremo a prenderle alla scuola materna e dentro l’abitacolo sarà come una finale dei pesi massimi tra fischietti che trillano, corpi che si accatastano e mani che si protendono per cercare abbracci. Prima, però, Tatanka vuol parlare dei cavalli. «Anzi, andiamo a vederli che è meglio». Il macchinone infila la statale verso Melizzano, pochi chilometri e la provincia di Caserta si allarga verso le colline del Beneventano. Oltre la Terra dei fuochi c’è il Texas. «Non è meraviglioso il nostro west? Quando scendiamo, sentirai che profumo selvaggio». Caseifici, ancora pizzerie con saloni smisurati e tavoli di cibo come portaerei. Un altro caffè e un cornetto. «Non sono saturo, la verve non è caduta, l’ho capito rimettendo i guantoni tre mesi dopo Rio, mi alleno come un pazzo come quando avevo vent’anni». Botte, campi coltivati e animali all’orizzonte. «Il mio sogno è la casa nella prateria: svegliarmi la mattina, aprire le finestre e vedere i cavalli». Sono i Quarter horse, i più veloci sul quarto di miglio, bestie bellissime incrociate con i Mustang. «Fanno le gare e io li alleno, li cavalco, mi rilasso e penso. Ne ho tre: Bionda, sua figlia Barbie e poi Black, lo stallone. Il corpo di un cavallo è come quello di un pugile, noi siamo tutti atleti». Però adesso ci aspettano a Marcianise, si va. «È una battaglia, mica puoi sederti». In un momento siamo nel regno del maestro Brillantino, luogo mitico dell’immaginario di chi ama lo sport, la puzza di sudore, l’epopea della strada. Veramente sembra un garage dentro una scuola media. «E ricordati che il bicchiere è sempre mezzo pieno, altrimenti ti impicchi». Quanti ragazzi hanno trovato salvezza all’ombra di questo cemento rovente, pestando i gradini di legno del ring che sembrano una salita verso l’altare. «Ma Gomorra non c’è più, era così nel 1980, io dico che alla fine delle puntate dovrebbero scriverlo altrimenti tutti pensano che sia ancora un disastro, infatti i turisti stranieri scappano». Anche qui ci sono frasi scritte sul muro, come nella palestra nuovissima di stamattina. “Quello che metti nel sacco, quello ci trovi”. Tatanka passa davanti alle foto di tutti i ragazzi che hanno vinto almeno un titolo, loro soltanto hanno il diritto all’immagine dentro la stella di carta: un campionato provinciale vale più di un argento olimpico. Clemente rivede Clemente a 14 anni, lo stesso sguardo duro, gli identici occhi piantati negli occhi. La fotografia è stinta, il tempio sbiadisce le cose e a volte le persone. «Ma io sono ancora quello lì». Fa qualche passo, l’uomo bisonte, e si piazza davanti a un sacco sgangherato appeso al gancio come una forca. Nessuno fiata. Nel silenzio memorabile comincia a tirare pugni a mani nude ed è come se tutta l’aria intorno si spalancasse. C’è qualcosa di primordiale che mette paura.