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 2017  agosto 06 Domenica calendario

Benedetti toscani ritratti top e pop in un filo di fumo

È vero, stando fermi ci si può muovere anche di più. Basta stabilire una posizione, fissare un osservatorio, da cui pensare al moto e alla stasi. Per Rousseau e Walzer, autori amatissimi da Massimo Onofri nel suo “Benedetti toscani”, quel punto di vista è il camminare, la passeggiata nell’essenziale legame con il pensiero: non concedere alcuna fede a un pensiero che non sia nato all’aria aperta, accompagnato da movimenti liberi. «Solo i pensieri avuti camminando hanno valore», scrive Nietzsche. Per Onofri, la posizione è quella opposta del flaneur stanziale. E così si confessa: «Mi arrampico di buona lena, senza indugi, sul mio filo di fumo: forse per contemplarmi, come sdoppiato e moltiplicato in me stesso, dall’alto di un cielo sconfinato». A Viterbo, città dell’origine, su una panchina sotto una palma nana, sul balcone della casa di Alghero, luogo di ogni deriva fantastica e ogni allucinazione, il flaneur aspira con voluttà il sigaro e il fumo disegna in aria frattaliche figurazioni. Avvolto e protetto da questa nuvola leggera, come un manto sottile in cui le parole scorrono fluide e inarrestabili, come il suo vate Savinio acuto debordante provocatorio, Onofri racconta, divaga, incalza, sogna, impreca, guarda le stelle, dà voce agli affetti più intimi e ai pensieri profondi, con la vita che si scioglie in fumo, tirando un toscano. LA MISCELA Lui che è docente, padre, marito ferito a morte, critico letterario tra i più autorevoli, “stilnovista patologico” con l’“inguaribile ottimismo di sangue e sperma”, ragiona di arte figurativa, letteratura, cibo, in una veloce sinossi di curiosità e saperi ben intrecciati, un po’ enciclopedici. Miscela di “alto” e “basso”. Musica classica e canzonette, l’amato Mozart, Frescobaldi e anche l’ Equipe 84, i Camaleonti, Pupo e Peppino Gagliardi, un «Peppino di Capri che ha capito Tenco». E sferza con ironia e ferocia ciò che non sopporta: lo «spiritualismo da super market» di Battiato e De Luca, le castronerie di Celentano sul “Corriere della Sera”, la cupezza di Ceronetti, «giullare dell’apocalisse», le vaghezze del «geometra» Odifreddi. “Benedetti toscani“riesce a costruirsi perfettamente a suo agio in quella forma mista, individuata da Canetti, tra l’agenda, il quaderno d’appunti, il diario: un diario “notturno” dove convergono tratti rapidi, aforistici, autobiografici, con l’imprinting forte dall’origine, la Grande Madre del web. Tutto è stato depositato da Onofri come post di Facebook, dal 18 novembre 2015 al 17 novembre 2016 e tutto, poi, ripreso e rigenerato in “Benedetti toscani”.I pensieri, le note, gli schizzi, le divaganti peregrinazioni con rapide zoomate. Il viaggio anche dentro di sé come scoperta, stupore, meraviglia, tra una fumata e l’altra. Gli acuti, il mordi e fuggi polemico, le citazioni da più fonti non solo letterarie. I fulminei giudizi critici: ogni pretesto è buono per tirare per la giacchetta l’immensa Morante e mettere in ombra il meno amato Pasolini. E, ancora, la sincerità un po’ borderline che lambisce la finzione e la finzione ombrosa che ambiguamente allude alla sincerità: «Io sono un grande campo di battaglia», per parlare di tutto molto si parla di sé, ma senza scantonare nella fin troppo consunta autofiction. Ogni post obbedisce all’imperativo della condensazione e della stilettata nelle forme diverse con cui la velocità del mezzo può favorirle. E insieme si offre a una lettura immediata, autonoma, una reazione istintiva, nel respiro che ogni volta il format permette, aprendo anche lo spazio già visibile per ogni futura condivisione. Così “Benedetti Toscani”, oltre a essere un libro di piacevolissima lettura, è anche un ottimo esempio letterario di come (McLuhan lo ricorda sempre) il medium sia anche il messaggio.