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 2017  agosto 06 Domenica calendario

Walter Veltroni. Il 1973, la città vuota, l’esame di maturità, il primo motorino, la sensazione meravigliosa di libertà e onnipotenza, il grande amore: i ricordi dell’ex sindaco

«L’estate del 1973. Sì, un’estate molto lontana, soprattutto dai miei successivi impegni, incarichi politici... non voglio parlare della mia dimensione pubblica». Walter Veltroni, che di Roma è stato sindaco eletto due volte, torna indietro ai suoi 18 anni. «Appena compiuti e appena superato l’esame di maturità». Con che voto? «Sessanta», risponde e continua il racconto: «I miei ricordi sono indissolubilmente legati al mio quartiere Salario, dove ho sempre vissuto e dove abito tuttora. In quei giorni, finita scuola, ero solo, perché mia madre stava facendo un programma in tv, però mi aveva comprato un motorino firmando una montagna di cambiali, che ho ritrovato recentemente scrivendo Ciao, il libro su mio padre. Non ero ancora maggiorenne, ma sentivo che tutto era possibile. Con il mio scooter verde della Piaggio giravo per Roma, vivendo una sensazione meravigliosa di libertà e onnipotenza: nulla mi ha ricordato di più quella sensazione del film Caro Diario di Nanni Moretti. All’epoca non esisteva ancora l’obbligo del casco, si andava così come si usciva di casa. E l’idea di guidare le due ruote in una Roma semideserta nel mese d’agosto, per chi come me aveva sempre preso l’autobus, aggiungeva un brivido di autonomia».
Una Roma molto diversa da oggi. «Uguale e diversa. Anche adesso la città d’estate, per esempio al tramonto, ha sapori, odori, colori unici al mondo, perché non dimentichiamolo, sia pure con tutti i suoi difetti è la più bella al mondo con la sua magia. Il profumo di certi alberi, l’arancione dei mattoni di certi palazzi... Diversa perché si poteva passare intorno al Colosseo, non esistevano le isole pedonali, che poi i sindaci Veltroni e Rutelli hanno istituito... Soprattutto era diversa per me, che la vivevo da neo-diciottenne, appena diplomato, con quella frenesia per un nuovo inizio della vita».
Frenesia e poi passione politica già presente, sia pure in erba: «Uscivamo da un periodo pesante, dopo la strage di piazza Fontana a Milano, e anche nella capitale c’era molta violenza, ma dal 1973 fino al ’76, è stato il periodo più bello che abbia vissuto il Paese. Nel ’74 per esempio, il referendum sul divorzio... dunque associo a quell’estate l’avvio di grandi novità». La memoria di Veltroni focalizza anche luoghi specifici del suo quartiere, del quale conosce anche i sampietrini: «Andavo a mangiare nella birreria Peroni di via Brescia. Era gestita dalle sorelle Mizzoni, Anna e Emma, con cui consumavo il mio pasto molto spesso in cucina. Il locale era stato aperto negli anni Venti dal padre Peppino, che a sua volta aveva portato da mangiare a mio nonno in carcere, quando era stato portato a via Tasso dai nazisti. Mio nonno era stato denunciato dal proprietario di una pasticceria di fronte a casa sua e, forse perché la storia ha un suo senso, quella pasticceria è stata in seguito chiusa, era della ’ndrangheta, dunque un luogo maledetto. Invece la birreria Peroni – continua – è rimasta la stessa fino a poco tempo fa, ci andavano a mangiare Ugo Tognazzi, Ettore Scola, vi è stata girata una scena del film In nome del popolo italiano di Dino Risi... ora c’è un posto dove si ordina con l’iPad. E poi il barbiere Emilio, il cui figlio Silvio era laziale, io sono juventino, e mentre si tagliavano i capelli si discuteva per ore di calcio. Non mancavano ottime gelaterie, cinema d’essai ora diventati sale bingo, che tristezza... e un negozio di dischi dove la proprietaria ti faceva ascoltare i 45 giri che amavi anche se poi non li compravi. Tutto sparito, ma c’è ancora la libreria Minerva a piazza Fiume, dove compravo gli Oscar Mondadori, che andrebbe tutelata come patrimonio culturale della città».
Ma soprattutto nell’estate 1973 Veltroni conosce la sua futura moglie Flavia: «Eravamo in un gruppo di giovani che partiva alla volta del Festival mondiale della gioventù a Berlino: fu l’unica volta, in tutta la mia militanza, in cui andai in un paese dell’Est, non ci sono più tornato, se non quando arrivò Gorbaciov. Un viaggio lunghissimo in treno, tutti insieme, una bella esperienza di contatto umano, in particolare con la ragazza di cui ero perdutamente innamorato». L’estate si conclude con un brutto avvenimento, il golpe cileno dell’11 settembre: «Un’esperienza drammatica sapere di miei coetanei chiusi nello stadio, torturati e uccisi. Quello fu l’11 settembre di noi giovani: ci fece risvegliare da un sogno, dall’ottimismo che ci faceva credere possibile e facile cambiare il mondo. Non era così».