Libero, 7 agosto 2017
Intervista a Pupi Avati: «In America per il film che ho amato di più»
Mentre da noi si consumavano le notti magiche sotto il cielo di un’estate italiana, lui si trovava dall’altra parte dell’oceano, a Davenport, sotto il cielo immenso che copre le pianure dell’Iowa. Era il 1990, l’estate dei Mondiali in Italia, e Pupi Avati era impegnato a girare negli Usa il film su Bix Beiderbecke, il più grande jazzista bianco della storia. «La ricordo come un’estate travolgente», racconta. «Beiderbecke era il mio idolo da sempre, un fenomeno del jazz morto a soli28 anni. Grazie a Fernanda Pivano, mi ero procurato una biografia introvabile su di lui, da lì avevo tratto una sceneggiatura e la Rai mi aveva messo nelle condizioni di farci un film. Insieme a mio fratello e Carlo Simi, scenografo di Sergio Leone, ci recammo nei luoghi dove Bix aveva vissuto, decidemmo di comprare la sua casa a soli 28mila dollari e la restaurammo, riportandola a com’era agli inizi del ’900. Avevamo il set giusto per il film. Ricordo l’emozione di ritrovare là la storia del jazz americano e di avere una troupe tutta per me che mi aiutava a realizzare il mio sogno. Sentii allora una sorta di delirio di onnipotenza, perché potevo combinare la mia passione per il jazz con il mestiere di regista, rendere vivi i miei miti d’infanzia attraverso la mia professione e soprattutto insegnare agli americani come si fa il cinema. Fu indiscutibilmente la mia estate più bella». E dire che di estati gloriose uno come Pupi,maestro della nostalgia e dei viaggi alla ricerca del tempo e dei luoghi perduti, ne ha vissute moltissime. Come quelle stagioni mitiche trascorse a Sasso Marconi, durante la seconda guerra mondiale, quando la sua famiglia fu costretta a sfollare da Bologna. «Nel ’43 e ’44, per sfuggire ai bombardamenti sulla città, ci rifugiammo nelle campagne bolognesi. La notte, coi miei occhi di bambino di cinque anni, vedevo i bagliori delle bombe, ma non mi davano l’idea della distruzione, pensavo fossero dei fuochi di artificio, un grande gioco fatto apposta per me. E poi quelle estati furono l’unico periodo in cui potetti stare con i miei genitori in modo continuativo, perché di solito papà era via per lavoro. Quindi, a dispetto della guerra, vissi quel tempo come una gioia e una grande festa».
Il sovrapporsi di tragedia ed emozioni liete sembra d’altronde un fil rouge nella storia bambina di Pupi, fino al cortocircuito di una perdita enorme che coincide con il suo amore adolescenziale. «Il mio primo bacio, d’estate», racconta, «corrisponde al giorno dolorosissimo in cui morìmio padre. Era l’agosto del 1950 e lui e mia nonna ci stavano raggiungendo in auto sulla costa, a Rimini.Ma a una curva all’altezza di Santarcangelo l’impatto contro un mezzo carico di sabbia fu per entrambi fatale. In quel periodo passavo le mattinate a fissare in spiaggia una ragazzina di Russi, Carla, adottando quello che a Bologna si definisce “le lontananze”, cioè lo sguardo a distanza senza avere mai il coraggio di parlarle. Il giorno dopo la tragedia, Il Resto del Carlino pubblicò in prima pagina le immagini di me e i miei due fratelli, rimasti orfani di padre. Eravamo diventati noti a tutti come i “figli dell’incidente”. E allora questa ragazzina uscì dall’ombra protettiva della sua tenda, si avvicinò alla mia attraversando un percorso assolato emi diede un bacio. Fu il suo modo dolce di lenire le mie ferite». Su quella stessa costa, una decina di anni più tardi, Pupi Avati avrebbe vissuto le sue estati più ruggenti e goliardiche. «Facevo parte di un gruppo jazz e suonavo in tutti i principali locali della riviera romagnola, tra Rimini, Riccione e Milano Marittima. Ai tempi il musicista era uno che cuccava tantissimo e anche io collezionavo relazioni, godendomi quella vita che ti portava a stare in piedi fino alle 6 delmattino e a dormire tutto il giorno, perché era la notte quella che contava… Ho ben impressi i balli che prevedevano il contatto fisico con la ragazza con cui eri in pista. E l’emozione di suonare in club, come il Savioli di Riccione, dove il giorno prima erano stati ospiti i Platters e il giorno dopo si sarebbero esibiti Minao Fred Buscaglione. Ti sentivi anche tu parte di quel mondo di star». Il tempo di qualche anno e Pupi Avati, dalle estati da eterno adolescente, sarebbe passato all’estate della maturità, quella dell’impegno sacro di prendere in moglie la donna che è tuttora la sua compagna di vita. «Era il giugno del 1964, io avevo 26 anni, lei 21, e la mia promessa sposa era di una bellezza senza pari.Allora ci si sposava senza conoscersi e il matrimonio significava affrontare il grandissimo rischio di un rapporto con una persona di cui non sapevi quasi nulla. Per questo io dico che mia moglie l’ho sposata davvero tre anni fa, l’estate del 2014, in occasione del nostro 50mo anniversario di matrimonio: quel giorno, in una chiesetta di Todi in Umbria, l’ho “risposata” sapendo chi era, consapevole dell’importanza che aveva assunto nella mia vita. E ben comprendendo quanto conti, mentre si approssimano i titoli di coda, avere accanto a sé una persona che ti conosce, che ha visto il peggio e il meglio di te, il tuo hard disk in cui ci sei tutto tu, con i tuoi file imbarazzanti e quelli straordinari».
Ora che invece si avvicina la soglia simbolica degli 80 anni Pupi trascorre le sue estati con un senso di riappropriazione del tempo e, insieme, la paura di perderlo. «Da vecchi», dice, «avviene quello che Bergman raccontava neI posto delle fragole: la persona regredisce, assomiglia sempre più al bambino che è stata. E questo significa smetterla di nascondersi dietro manifestazioni di forza e sicurezza e tornare a essere preoccupati e spaventati della vita come si deve essere, riscoprire insomma la bellezza della vulnerabilità. Questo vuol dire essere vecchi, diventare finalmente vulnerabili. Allo stesso tempo ti rendi conto che, più gli anni passano, più il tempo si abbrevia e diventa prezioso, e cominci a guardare i libri che non hai letto, le persone che non hai conosciuto a fondo e hai voglia di riempire le tue estati a recuperare quel tempo e quelle occasioni mancate. Non hai più la possibilità di stare seduto sulla sdraio a fare nulla, ma devi impiegare i tuoi giorni, perché l’estate sta finendo e devi prepararti al meglio al finale».