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 2017  agosto 07 Lunedì calendario

Intervista a Enrico Costa, ex ministro di Gentiloni: «Fino al referendum il Pd mediava con noi moderati, poi si è irrigidito»

«Certi amori non svaniscono, fanno dei giri immensi, poi ritornano», canta Antonello Venditti. Ma l’onorevole Enrico Costa, eletto tre volte nelle liste di Berlusconi, relatore del Lodo Alfano nell’ultimo governo di Berlusconi, quindi compagno d’avventura del medesimo Alfano nel Nuovo Centrodestra e in Alternativa Popolare, ministro di Renzi prima e ora fresco dimissionario dall’esecutivo Gentiloni e da Ap, non ritiene di essersi mosso di un passo. «Sui vari temi ho sempre avuto un percorso di dialogo e confronto con Forza Italia, cercando di rappresentare un’area moderata e liberale non contrapposta rispetto a quella azzurra», spiega. E pare aver convinto tutti. È l’unico ministro di Ap a non subire il fuoco di sbarramento dei forzisti e a non essere bollato come traditore quando non seguì Berlusconi nella rottura del patto del Nazareno ed è il solo dell’ex truppa alfaniana su cui il Cavaliere conta per riunire tutto il centrodestra in vista delle Politiche del 2018. «Ma quel che più mi conforta» puntualizza «sono i segnali che mi sono arrivati dagli elettori. Quando mi sono dimesso ho ricevuto messaggi di congratulazioni in misura dieci volte superiore rispetto a quando sono stato nominato ministro». Tre anni e mezzo al governo con Renzi e nel partito di Alfano cancellati in quindici giorni, non è stupefacente? «Affatto. Io sono sempre stato coerente con i miei principi liberali e la mia immagine. Quando ho percepito che per Ap il centrodestra non era più un approdo a cui tendere e la maggioranza di governo proponeva provvedimenti che non condividevo ho lasciato il ruolo di ministro e ho difeso il mio pensiero». Tre anni non sono un periodo un po’ lungo per capirlo? «In un mondo in cui le dimissioni tutti le minacciano ma nessuno le rassegna, io le ho date. Questa è la notizia ed è la prova di quanto sia convinto del progetto berlusconiano. Non è una questione cronologica, la realtà è mutata. All’inizio Ncd era ispirata da principi liberali e si batteva per travasarli nel governo di centrosinistra, che era anche disponibile ad accoglierli. Fino alla sconfitta al referendum, il Pd mostrava volontà di mediazione e rispetto verso le tesi moderate ma poi è cambiato tutto. Oggi tutte le posizioni si sono irrigidite e non in senso garantista e liberale, come si è visto con la norma sullo ius soli o con le forzature del processo penale su temi non garantisti. Ap è quotidianamente messa dinanzi al bivio se rinunciare ad affermare i propri valori o mettere a rischio la tenuta del governo». Alfano non la pensa così… «Lui è convinto che il centro possa essere autonomo. Il suo è un legittimo estremismo di centro, che non guarda in particolare né da una parte né dall’altra. Io sono convinto che Ncd e Ap provengano dal centrodestra e lì debbano guardare. Da solo il centro non è decisivo». I parlamentari di Ap la pensano come lei o come Alfano? «Il messaggio di apertura di Berlusconi alle forze centriste a mobilitarsi è stato molto apprezzato. In tanti dentro Ap la pensano come me ma non per tutti i tempi sono maturi. Guardi in Sicilia, dove pare che per Ap centrodestra e centrosinistra pari siano. Al mattino si incontrano i primi, al pomeriggio i secondi. Non è così che si costruisce un’identità. La gente non capisce: se vuoi opporti a M5S, devi decidere con chiarezza dove stare, altrimenti alla fine contribuisci alla vittoria grillina». Insomma lei crede davvero in un grande centrodestra riunito da Fdi e Lega fin quasi ad Alfano? «È la richiesta che arriva dagli elettori: condivisione e unità. Nelle Regioni ci sono esperienze che funzionano, a livello nazionale ci vogliono ulteriori presupposti. Se si votano norme come lo ius soli, non si creano le condizioni ottimali. Le elezioni, comunque, si vincono al centro, come insegnò Berlusconi nel ’94, alleandosi con Lega e An». Berlusconi non può candidarsi: come può essere la guida? «La guida politica sostanziale conta più degli aspetti formali. Più è ampia la proposta, più per dare equilibrio serve il baricentro moderato». Non mi dica che sogna un grande listone di centrodestra? «Sono per la semplificazione del quadro politico e gli ultimi sondaggi dicono che non è vero che il centrodestra unito perde voti». Ma lei non è stato incaricato da Berlusconi di formare la quarta gamba del centrodestra, per cui si fa il nome di Italia Civica? «Lasciamo stare i nomi. Io al momento mi impegno umilmente per allargare gli spazi di crescita del centrodestra e contribuire a recuperare il consenso di cittadini che non hanno più votato quello schieramento. Sia in Parlamento sia nella società civile ci sono aree che è naturale rimettere in relazione con Forza Italia. Agisco da liberale, sono autonomo ma mi muovo in un quadro complessivo unitario. La frammentazione non aiuta, deve crearsi un amalgama tra le forze del centro che poi devono coordinarsi con Forza Italia, vedremo con che formula. I dialoghi sono in fase avanzata». A chi allude? «Mi viene in mente Parisi, ma anche tanti altri amici». Ma lui in questo momento pare più intenzionato a fare casomai la quinta gamba… «Non servono forze di interdizione, penso che alla fine tutti avranno la capacità di coordinarsi. Tanti singoli segmenti o dialogano tra loro o pesano poco. L’elettore lo pretende. Penso anche all’Udc, a Direzione Italia, a Idea, a Scelta Civica, a Fare, al Partito Liberale. È un’area che può valere almeno il 5%». Non sa di ammucchiata di mestieranti in cerca di riciclo? «Piano con le etichette, è tutta gente che ha consenso a livello nazionale o locale e lo ha dimostrato anche alle ultime Amministrative, e può rafforzare il centrodestra. E poi guardi, i veti e le esclusioni sono miopi. Nel 2006 contro l’Ulivo abbiamo perso per 24mila voti ed è una sconfitta che brucia ancora moltissimo, bisogna fare di tutto perché non si ripeta una cosa del genere». Non ha nominato Verdini... «Non mi è capitato di parlarci ultimamente ma è ovvio che l’identità della sua Ala non è certo di sinistra. In questi giorni ho incontrato Saverio Romano, capogruppo di Ala alla Camera, che mi è perso molto interessato al progetto». Molti parlamentari azzurri diffidano dai personaggi che ha citato: non crede sia comprensibile? «Lo sarà, ma chiudersi a riccio è il classico atteggiamento di chi poi finisce all’opposizione. L’appello di Berlusconi all’unità del centrodestra ha smosso molti soggetti di varia storia e provenienza e penso sia un bene. Bisogna cercare di aprirsi e non pensare a ruoli e poltrone». Facile dire di non pensare alle poltrone: lei non ci pensa? «Io ne ho appena lasciata una prestigiosa per iniziare questo percorso di ricompattamento di alcune aree nell’ambito del centrodestra. Quanto al resto, non vedo mal di pancia dentro Forza Italia e confido in Berlusconi, che fa un ragionamento di matura prospettiva». Ogni quanto lo sente? «Io ho risposto all’appello pubblico di Berlusconi, non gli ho telefonato prima di dimettermi da ministro. Sono in contatto con vari esponenti di Forza Italia, che poi sono miei ex compagni di partito, ma non ho affittato un appartamento a Porto Rotondo. Contano di più le azioni politiche ed essere sulla stessa lunghezza d’onda. Sono in partenza per Sanremo, le mie vacanze le farò lì». Come mai Berlusconi è riuscito a tornare centrale? «Perché ha fatto opposizione con responsabilità e competenza senza mai cedere sui propri temi caratterizzanti ed è stato capace di essere punto di riferimento ed equilibrio per tutto il centrodestra». Come pensa di far andare d’accordo la sua quarta gamba con Salvini e Meloni? «Personalmente io con la Lega a livello locale ho lavorato costruttivamente. Certo però non sono io il mediatore ideale, il punto d’incontro lo individuerà Berlusconi». E su quale legge elettorale cadrà la mediazione? «C’è bisogno di una legge elettorale ma se tutti si muovono facendo i propri calcoli di bottega non sarà facile trovare un accordo. Sarebbe già un passo in avanti omogeneizzare i sistemi di Camera e Senato. Per conto mio, ripartirei dalla proposta naufragata del sistema tedesco, con premio alla coalizione vincente, in modo da valorizzare le diverse identità dei partiti che formano l’alleanza». E Alfano cosa farà? «Con questa legge elettorale credo che correrà da solo. Ma la corsa solitaria non ha identità politica: gli italiani vogliono una proposta di governo forte, non cercano mediazioni. Chi non si fida dei grillini, e sono tanti, vuole una forza compatta in grado di fermarli. Renzi nel 2014 ottenne il 41% anche per reazione al boom di M5S dell’anno prima. Credo che ora tocchi all centrodestra». E se dopo le Politiche non si arriva a un vincitore? «Lì cambia lo scenario. In Germania si fanno le grandi coalizioni senza che nessuno si scandalizzi». Nell’intervista che mi rilasciò un anno e mezzo fa auspicava un partito Berlusconi-Renzi… «Era una provocazione. Io però ho sempre considerato Renzi più liberale di tanti nel suo partito». La pensa come Bersani e D’Alema allora? «Da posizioni opposte». Perché è crollato nei consensi? «Renzi ha dato grande ritmo e vivacità alla politica ma per farlo si è esposto troppo ed è diventato un bersaglio. Ha personalità ma corre troppo spesso in solitaria ma per vincere anche i campioni hanno bisogno dei gregari». Ha fallito più sull’immigrazione o in economia? «Ha fallito sulle riforme costituzionali e io ho fallito insieme a lui. Non gli ha giovato la personalizzazione del referendum. In economia ha voluto dare dei segnali ma i provvedimenti che ha preso non hanno dato effetti immediati e sono stati interpretati come promesse. Avrebbe avviato la riforma fiscale ma dopo il 4 dicembre questa prospettiva è crollata. L’immigrazione poi ha aumentato la sua difficoltà politica».